CAPITOLO 23 - Lontano da chi?

Fotografia di Cristina Barbieri
Spinoza disse: "Non c'è speranza senza paura nè paura senza speranza"




Mi sono sempre domandata se esiste una teoria sugli intervalli di tempo che separano gli eventi positivi da quelli negativi della vita. Si tratta di semplice casualità o episodi che si ripetono in modo costante e periodico, seguendo l’ordine scandito da una formula matematica che solo I geni conoscono? O semplicemente, qual è il criterio che sta alla base del tu sì, tu no? Dopo anni e anni in cui mi sono posta questa domanda senza mai trovare risposte sufficientemente convincenti, giunsi alla conclusione che le cose accadono a coloro che sono in grado di affrontarle.

Numero sconosciuto: “Pronto?”
Era la segreteria scolastica che mi diceva di correre a scuola, perchè Sveva si era fatta male a una gamba, mentre stava giocando a palla con I suoi compagni:
“E’ successo all’improvviso: il momento prima stava correndo e il momento dopo l’ho vista a terra in lacrime” spiegò la maestra.

CAPITOLO 22 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Qualcuno disse che "Amare vuol dire anche lasciar liberi di andare"

 
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GENNAIO 2005




Erano solo le cinque del pomeriggio e il cielo si andava oscurando, mentre calavano le prime ombre della sera. Era l’ora di uscire con Dylan, un cucciolo di Golden Retriver che Filippo mi regalò per il mio compleanno. Mi coprii a più strati, infilai cappello e guanti di lana, misi il guinzaglio a Dylan e andai ad affrontare il gelo. Appena misi piede fuori casa, assaporai immediatamente il profumo della prima neve. Stavo per incamminarmi verso i giardini che distavano pochi metri da casa mia, quando per caso guardai dalla parte opposta. Sentii il terreno crollare da sotto i miei piedi: feci un passo, guardai di nuovo e restai immobile. Paolo. Indossava dei jeans scuri e un giubbotto di pelle marrone. I suoi capelli erano sempre radi e la barba corta, ma incolta. Nonostante non lo vedessi da quasi quattro anni, ai miei occhi era sempre quel ragazzino di diciannove anni, dall'aria un pò trasandata, ma che mi piaceva tanto. Ero senza parole:
"Matilde!"
"Paolo!"
"E' bello rivederti dopo tutti questi anni!"
Gli corsi  incontro e istintivamente gli buttai le braccia al collo. I nostri corpi si unirono come accadeva un tempo. Mi bastarono pochi secondi per rendermi conto che di fronte a me c’era un uomo che una volta conoscevo, ma che adesso era qualcun altro, perciò mi staccai, facendo un passo indietro:
"Che ci fai qui?"
"Non lo so. Volevo farlo e basta."

CAPITOLO 21 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Abraham Lincoln disse: "La miglior cosa del futuro è che arriva un giorno alla volta."



LUGLIO 2004

 

Il giorno della laurea arrivò come tutti I giorni con la differenza che mi alzai prima di sentire la sveglia. Non fu un sonno tranquillo e sereno: feci fatica ad addormentarmi e durante la notte I miei occhi si aprirono almeno una quindicina di volte se non di più, giusto per assicurarmi che la sveglia dovesse ancora suonare. E poi finalmente l’alba: dormivano ancora tutti; senza fare troppo rumore sgattaiolai in bagno  e aprii I rubinetti della doccia. Dovetti aspettare qualche secondo prima che l’acqua diventasse calda. Colpa di uno scaldabagno troppo vecchio.
Mi spostai in soggiorno con l’ascigamano arrotolato sulla testa, ancora calda di vapore e con le guance rosse: Benedetta e Giorgio erano ancora nel mondo dei sogni. Da quando si erano sposati, il nostro bilocale si era fatto più stretto, ma non ne feci un problema. Mi rallegrava vedere gente girare per casa, un pò meno il disordine che l’unico maschio di casa era in grado di creare.
Le loro nozze vennero celebrate il 14 Giugno del 2003, nella chiesa dove si sposarono I nostri genitori: io ebbi l’onore di essere la testimone della sposa, mentre Sveva portò le fedi all’altare.La chiesa era addobbata con due mazzi enormi di rose bianche e fiori di arancio e tante piccole copie degli stessi mazzi a fianco ad ogni panca di legno. Infondo alla navata laterale c’era il fotografo impegnato a montare I faretti, una volta sistemati prese posto in prima fila in attesa di dare inizio agli infiniti scatti che avrebbero immortalato per sempre quel momento. Benedetta arrivò a bordo del vecchio maggiolone decappottabile che apparteneva alla sua migliore amica, l’altra testimone. L’aiutai ad uscire, facendo attenzione allo strascico ingombrante: era bellissima. Quando Giorgio vide la sposa, I suoi occhi brillarono di gioia e commozione, respirò profondamente: era pronto a prometterle eterno amore.

CAPITOLO 20 - Lontano da chi?

Foto di Beatrice Barbieri
Susanna Tamaro scrisse: "Quando ti si apriranno tante strade e non saprai quale scegliere, non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta. Respira con la profondità fiduciosa con cui hai respirato il giorno in cui sei venuto al mondo, non farti distrarre da nulla, aspetta e aspetta ancora, resta in silenzio ed ascolta il tuo cuore. E quando ti parla, alzati e vai dove lui ti porta"

SETTEMBRE 2000.



Al tempo dei fatti dell’asilo di Sveva, io e Benedetta ci procurammo dei libri per saperne qualcosa di più. Giravo spesso con qualche saggio in borsa che estraevo quando non avevo da leggere libri universitari. Non era l’uomo nero a spaventarla o creature simili, ma il timore che da un momento all’altro potessimo abbandonarla. Talvolta compariva terrorizzata e tremante nel cuore nella notte e cominciava a  strattonarmi perchè mi svegliassi. Allora mi alzavo con gli occhi ancora chiusi e la riaccompagnavo nel suo letto: accendevo la luce con le api, afferravo una delle tante fiabe e iniziavo a leggere, a fatica. Sveva, lì distesa, mi teneva stretta la mano. Appena il tono della mia voce di abbassava, lei diceva:
“Ancoa” la “r” per lei era spesso un optional. Quando le domandavo:
“Ma che fine ha fatto la “r”?”
Lei rispondeva: “Bo, io non l’ho vista!”
Ripetevo la fiaba due, tre volte: poi quando mi alzavo per tornare nel mio letto, convinta che si fosse tranquillizzata, mi giungeva la sua vocina:
“Non andae via!”
Allora tornavo indietro, l’accarezzavo con dolcezza, le facevo I grattini sul braccio e se vedevo che la situazione non migliorava, benchè ne fossi contraria, la facevo dormire con me.
E chissà come mai, appena toccava il mio letto e adagiava la testa sul mio cuscino, scivolava immediatamente in un sonno profondo. Io anche.