CAPITOLO 19 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri

Stephen Littleword disse: "Non ho mai detto addio a nessuno. Non ho mai lasciato che le persone a cui voglio bene se ne andassero. Sì, perchè le porto con me dovunque io vada. Nel mio cuore."

 
La mattina della partenza lo accompagnai all'aeroporto: arrivammo in anticipo, perciò mi sedetti sul carrello dove avevamo sistemato la sua sacca, in attesa del volo. Si sedette a terra, accanto a me con la schiena contro una colonna di marmo: gli afferrai la mano e gliela strinsi forte. Avrei voluto fermare il tempo, ma come sempre accade: quando non vuoi che scorra troppo in fretta, inevitabilmente succede. Presto arrivò il momento in cui si dovette imbarcare: gli gettai le braccia al collo e scoppiai a piangere.
"Scusami!"
"Non ti devi scusare...vedrai che ce la faremo anche questa volta!"
"Speriamo!" sospirai, ci baciammo un'ultima volta:
"Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo...andrei avanti all'infinito!"mi strinse forte, poi afferrò la sacca e si diresse verso il gate. Si voltò ancora una volta prima di sparire in mezzo a tutta la folla. Cominciavo ad odiare la separazione e tutto ciò che comportava. Lasciai l'aeroporto con la consapevolezza che avevo bisogno di lui più di prima e che il ricordo dei giorni trascorsi insieme non sarebbe bastato.
Ci scrivemmo molto più di prima e le telefonate erano più lunghe, poi, a fine Maggio, arrivò la notizia che avrebbe passato l'intera estate in Germania, in un campo per fare esercitazioni e migliorare la sua resistenza fisica, ecco che la realtà delle cose mi piombò addosso. Quello stesso sogno che fino a qualche mese prima mi faceva trepidare, cominciavo a sentirlo troppo lontano. Per quanto lo amassi ancora, per quanto lo pensassi sempre e intensamente, mi accorsi di non essere in grado di accettare la situazione: di lì a qualche settimana sarebbero cominciati gli esami, poi l'estate e a Ottobre l'università: in tutto questo lui non ci sarebbe stato. Certo non per colpa sua, ma non potevo più sopportare l'idea di basare la nostra storia su lettere, e-mail e soprattutto su una falsa speranza. 

CAPITOLO 18 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Alessandro Baricco scrisse: "Non si è mai lontani abbastanza per trovarsi"

 
Il 10 aprile, oltre ad essere il diciannovesimo compleanno di Irene, era anche il venticinquesimo compleanno di Benedetta. Le regalai un paio di orecchini d'argento con la promessa che saremmo andate insieme a farci i buchi, da sempre voluti, quanto temuti. Eravamo inspiegabilmente terrorizzate entrambe dalla pistola che con colpo sicuro avrebbe forato i nostri morbidi lobi. Con grande coraggio ci dirigemmo dal gioielliere dove le avevo comprato il regalo: avevo già un piede nella tana del lupo, quando Benedetta mi afferrò il braccio:
"Guarda che non dobbiamo per forza farli oggi!"
Le presi la mano e la guardai dritta negli occhi:
"o lo facciamo ora, o, conoscendoci, non lo faremo mai più!"
Finalmente decidemmo di entrare: eravamo attorniate da un gioco di luci e colori che riflettevano l'oro e l'argento, di cui il negozio straboccava.
Prendemmo posto su due seggioline, situate dietro il bancone: marito e moglie, proprietari della gioielleria si munirono di cotone, orecchini e pistola, pronti per impossessarsi dei nostri lobi.
"Tranquille ragazze, non ve ne accorgerete nemmeno!" ci rassicurò la donna. Benedetta alzò gli occhi al cielo e respirò profondamente.
BUM: fuoco. E uno era andato. BUM, di nuovo. E anche il secondo era stato fatto. Sentii mia sorella di nuovo respirare. I suoi occhi si aprirono e di seguito un sorriso di soddisfazione. Si lasciò sfuggire un lieve gemito di vittoria: "Sono sopravvissuta!" esclamò ridendo.

CAPITOLO 17 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri

Paul Verlaine scrisse: "Amami perchè senza te niente posso, niente sono"


 
Aprile arrivò. Di lì a pochi giorni sarebbe tornato Paolo: gli promisi che sarei andata a prenderlo all’aeroporto e così fu. L’8 Aprile alle 19.00 puntuali mi presentai a Malpensa con il cuore che mi  batteva in gola per la trepidazione a la paura che qualcosa tra noi potesse essere cambiato.
Le porte automatiche si aprirono: inizialmente non lo individuai, poi eccolo là, sulla sinistra. Indossava ancora la divisa e la borsa che aveva a tracolla era di notevole dimensioni. Aveva i capelli cortissimi, praticamente rasati, il viso un po’ più asciutto, ma era lui. Era Paolo. Mi bastò quell’attimo perché mi rendessi conto che tutte le mie preoccupazioni fossero state inutili. Mi vide. Fece appena in tempo a posare la sacca prima che gli saltassi addosso e ci baciassimo. Un bacio travolgente, tenero e passionale, carico di emozioni, da fare invidia alla miglior sceneggiatura di film romantico.

CAPITOLO 16 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Aristotele disse: "Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, nel grado giusto, al momento giusto, per lo scopo giusto e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque, questo non è facile."
 
“Prof!”
“Ciao Matilde!” 
“Le va un caffè alle macchinette? Non facendo religione ho l’ora buca!”
“Ascolta io devo correggere un pacco di compiti: facciamo che te lo offro io e in cambio mi dai una mano! Che ne dici?” 
“Posso dire di no?” domandai sorridendo.
“Ovviamente no!” esclamò facendomi l’occhiolino. 
La seguii in aula professori: stranamente era vuota, a parte il Dionigi e il Cassano che discutevano animatamente di fisica atomistica, e per me era come se parlassero in cinese, e il vicepreside coperto da un malloppo di fogli protocollo:
“Buongiorno signorina Casale!” 
“Buongiorno!”
“Ho saputo che quest’anno niente gita! Non sarà per caso colpa della vostra condotta?” 
“Ma va che scherza?! Noi classe di angioletti!”
Si lasciò sfuggire una risatina pungente poi la sua testa tornò china sui fogli protocollo. I suoi occhiali spessi e la sua capigliatura un po’ arruffata gli davano un’immagine divertente. Lui ne era consapevole e gli andava bene così. 
La Ferrari prese tutto il materiale di cui avremmo avuto bisogno e lo appoggiò sul tavolo:
“Tu prendi le verifiche di storia, mentre io prendo libri e penne e ci spostiamo in biblioteca!” 
Feci quello che mi disse, afferrai la pila di fogli e mi diressi verso l’uscita quando il mio sguardo cadde sulla prima pagina su cui la prof aveva riportato a mano le risposte corrette. Improvvisamente mi caddero tutti i compiti a terra e rimasi lì, con i piedi inchiodati al pavimento e gli occhi spalancati, incredula di quello che avevo appena scoperto.
“Matilde, ti ho chiesto di darmi una mano, non di complicarmi le cose!” 
“Ah io le complico le cose?!?! Lei invece si limita a rovinare i matrimoni!” Vidi il suo volto sbiancare.
“E’ inutile che mi guarda così! So benissimo chi è lei e mi creda mi fa solo schifo! Si è presa gioco di me e della mia famiglia per tutto questo tempo, se ne rende conto!?” 
Mi voltai e me ne andai: “Aspetta Matilde!” mi pregò lei.
“Aspetto cosa? Dica la solita frase di circostanza: “non è come pensi” magari poi si sente meglio!” Non fiatò. La fissai per qualche secondo: “Si pentirà di tutto questo!”

CAPITOLO 15 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Qualcuno disse: "Il triangolo solo in geometria è una costruzione innocua."

Ultima ora. La campanella suonò e come sempre i corridoi vennero invasi da centinaia di studenti, che non vedevano l’ora di mettere piede fuori da quella caserma.
All’uscita, fuori dal cancello c’era Marta seduta sul motorino di Irene: 
“Ciao Matilde! Ho sentito anche Irene e pensavamo di andare a mangiare qualcosa insieme, che ne dici?”
“No, io devo studiare e finire di preparare gli ultimi scatoloni, anche se ancora non abbiamo trovato un posto dove andare!” spiegai mortificata. 
“Eddai, un panino e poi tutti a casa!...Eccola!” disse aprendo le braccia verso Irene:
“Ciao ragazze! Che si dice? Ho un certo appetito, quindi propongo di andare subito a divorare qualcosa!” 
Nello stesso istante in cui irene smise di parlare arrivò la Ferrari:
“Ciao Matilde! Tutto bene? Come mai ieri non sei venuta a scuola?”  
Ci avrei scommesso che me lo avrebbe chiesto, ma non avevo voglia di raccontarle tutta la vicenda di Enrico e il fatto che fossimo di nuovo senza una casa, per cui le dissi la prima cosa che mi venne in mente: “C’era la mia sorellina che non stava bene e siccome Benedetta lavora sono dovuta rimanere io con lei!”
“Ah capisco! La prossima volta inventa una scusa migliore, perché non si sa mai che qualche occhio indiscreto ti possa vedere senza che tu te ne accorga!” 
“E va bene me la sono bigiata e con questo? Non mi sembra che ieri ci fosse qualche verifica o interrogazione! Perché mi deve stare con il fiato sul collo?” 
La domanda mi uscì spontanea.
“Ti ricordo che stai parlando con una tua insegnante!” 
“Certo quando le fa comodo mi fa da insegnante, se no da madre, o ancora da psicologa…forse è il caso di definire i nostri rispettivi ruoli!”

CAPITOLO 14 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Tennyson scrisse: "Una tempra di cuori eroici, resi deboli dalle fatiche e dal destino, ma forti nel voler lottare, cercare, trovare e non cedere mai."

  
La sveglia suonò alle 8.30. La moka era già sul fornello che borbottava come ogni mattina e Benedetta stava lavando e vestendo Sveva. Mi trascinai sul divano, aspettando il mio turno in bagno: pensai a cosa avrei saltato a scuola. Ovviamente nulla. Nessuna interrogazione e nessuna verifica prevista per quel giorno.  Il caffè era pronto: mi riempii una tazza e riempii quella rossa per mia sorella:
“E’ pronto!”  
“Arrivo, finisco con Sveva!”
“Guarda che si raffredda!” 
“Potresti anche portarmelo!”
Afferrai la tazza bollente con la pattina e la raggiunsi: “Tieni!” 
“Cos’è questo muso? Ieri sera mi sembravi soddisfatta e convinta del nostro piano!”
“Già…!” 
“Ohi non ti starai mica tirando indietro?” domandò con tono che si fece più serio.
“No no è solo che ho paura di non farcela…sì insomma metti che qualcosa vada storto?” 
“Credimi, insieme ce la faremo…ho fiducia in noi e soprattutto in te! Non vorrei altra persona al mio fianco!”
I miei occhi brillarono, le stampai un bacio sulla guancia: 
“Da quando sai dire quello che vorrei sentirmi dire?”
“Non credevo avessi una considerazione così bassa di me?!” disse dandomi un pizzicotto sulla gamba. 
“Mutande rosse o nere?”
“Dai scema…i tuoi mutandoni alla Briget Jones andranno alla grande!” esclamò ridendo. 
“Sfotti sfotti!!!” Le feci il gesto di legarmi al dito quello che aveva appena detto poi andai in camera mia, molto più tranquilla e rilassata.

CAPITOLO 13 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Jane Austen disse: "E come giudicare l'orgoglio: un difetto o una virtù?"

 
A partire da gennaio del 1999 cominciai il conto alla rovescia del tempo che mancava alla licenza di Paolo, prevista per Aprile, ma non fu l’unico mio pensiero: di lì a pochi mesi ci sarebbe stata la maturità e la scelta incombente sul mio futuro, che ancora mi sembrava un grosso buco nero. Benedetta insisteva molto con economia: non era una strada nuova, visto che era già stata sperimentata da mio padre e da mia sorella e forse per questo sarebbe stata più facilmente percorribile. Benchè la cosa mi convincesse poco per evitare di deludere l’aspettativa di Benedetta e crearle ulteriore amarezza, le dissi che l’avrei presa in seria considerazione. Allo stesso tempo però non mi lasciai sfuggire gli incontri di orientamento per la facoltà di giurisprudenza e lettere moderne. Piccoli dettagli che in quel momento preferii non riferirle.
L’8 Gennaio mi ritrovai di nuovo tra i banchi di scuola e mi domandai cosa spingesse una persona a fare l’insegnante…secondo me nella maggior parte dei casi: il potere di onnipotenza che possono esercitare su noi studenti. Insomma, ho conosciuto molti professori che insegnano e se ne fregano di cosa pensano di loro gli alunni. Dominano la classe con severità spesso eccessiva che sfocia nella minaccia per eccellenza: l’insufficienza. Sono duri, pretendono troppo e non li si contraddice solo per paura di una tremenda vendetta. Trovo che sia il peggior modo di insegnare a una persona come stare al mondo. Il bravo insegnante è la persona carismatica, che sa catturare l’attenzione di chi ha di fronte, ossia adolescenti spesso fastidiosi, mantenendo la disciplina. Questi sono pensieri di una giovane alunna che trae le sue conclusioni dopo 13 anni di esperienza scolastica, vista dal lato dei banchi sgangherati e non della cattedra.

CAPITOLO 12 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Charlie Chaplin disse: "Dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire"

 
Natale fu un tormento: era il primo senza i miei genitori e non avrei visto Paolo, mi disse che la sua licenza era prevista per Aprile. Ci eravamo scritti e sentiti per telefono, ma non lo vedevo da due mesi e avrei dovuto aspettarne altri quattro: ormai mi ero quasi abituata alla sua assenza e spesso mi domandavo quale sarebbe stata la mia reazione una volta che ci fossimo trovati l’uno di fronte all’altra: sarei corsa tra le sue braccia, o avrei aspettato che lui si avvicinasse a me? Il cuore avrebbe cominciato a battere all’impazzata oppure avrebbe conservato il suo battito regolare?
Continuavo a pormi quelle domande con insistenza, facendo viaggi mentali che sfioravano l’assurdo e che mi tenevano sveglia fino alle ore più improbabili. E poi era ricomparso Filippo, il mio primo amore adolescenziale, la mia prima vera cotta. E’ vero che era ricomparso come amico, ma ammetto di essere sempre stata molto scettica nei confronti di un’amicizia tra maschio e femmina soprattutto dopo che i due hanno avuto una storia importante: sono convinta che l’amicizia possa in certi casi trasformarsi in amore, nell’altro senso è difficile che funzioni a lungo.