UNA TENERA IDEA REGALO

Scatto di CI e ricetta di BI
RICETTA PER 20 BISCOTTI.

INGREDIENTI:
- 140 g di farina;
- 100 g di burro;
- 50 g di zucchero;
- 1 uovo
- cioccolato fondente q.b. (farcitura)

1. Amalgamate il burro con lo zucchero fino ad ottenere un impasto schiumoso (consiglio di BI: far sciogliere precedentemente il burro in microonde o su fornelli);
1.1. Preriscaldate il forno a 200 gradi;
2. Unite la farina al composto e impastate fino ad ottenere una pasta morbida e compatta (farcite l'impasto con l'ingrediente che desiderate);
3. Prendete carta da forno e stendete la pasta (spessore circa mezzo cm);
4. Lavorate la pasta, utilizzando lo stampino che più vi piace;
5. disponete la carta da forno su una teglia e infornate.

TEMPO DI COTTURA: 15/20 min.

CONSIGLI DI BI:
Oltre che con gocce di cioccolato, potete farcire i biscotti con gherigli di noci o mandorle tritate, scorze di arancio, mela grattuggiata, nocciole.


Scatto di Ci e ricetta di BI

CB IN UNO SCATTO!

SHEILAH GRAHAM disse: "Il cibo è la forma più primitiva di conforto che io conosca"

C & B: CB in uno scatto per appetitose degustazioni.  Facili da prepare e sublimi da gustare. 

CAPITOLO 24 - Lontano da chi?

Fotografia di Cristina Barbieri


EPILOGO

Aprii il cassetto, tra mille scartoffie la individuai, eccola lì la nostra foto: io, Benedetta e Sveva. 
Il cielo che faceva da sfondo prometteva di tutto e noi tre giovani ribelli eravamo pronte a qualunque sfida la vita ci avrebbe lanciato. Senza paura. Determinate ad andare sempre avanti. E ora, alla vigilia del mio ventottesimo compleanno vorrei poter rassicurare quella piccola donna di diciotto anni, dicendole di avere più fiducia in sè  e nelle sue capacità perchè arriverà il giorno in cui quella pace e serenità tanto ambita busserà alla sua porta. Sveva a otto anni ha vinto la sua prima battaglia: ha sconfitto il cancro. Ora ha dieci anni e conduce una vita quasi normale. Deve fare tutti I giorni I conti con una gamba difettosa, ma sa che dalla sua parte ha la vita e questa cosa le dà una forza incredibile.
Benedetta vive da ormai un anno a Parigi. Le piace quella città. Perchè è così caotica e così calma. Mi ha rivelato che è l’unico posto nel mondo in cui si è sempre sentita a casa. Chiudo gli occhi e penso alla vita affrontata insieme, quando li riapro tutto sembra uguale a parte la maggior consapevolezza che lei è lontana. 
Mi viene in mente la poesia di E.E. Cummings:


"Il tuo cuore lo porto con me
Lo porto nel mio
Non me ne divido mai.
Dove vado io, vieni anche tu, mia amata;
qualsiasi cosa sia fatta da me,
la fai anche tu, mia cara.
Non temo il fato
perchè il mio fato sei tu, mia dolce.
Non voglio il mondo, perchè il mio,
il più bello, il più vero sei tu.
Questo è il nostro segreto profondo
radice di tutte le radici
germoglio di tutti i germogli
e cielo dei cieli
di un albero chiamato vita,
che cresce più alto
di quanto l'anima spera,
e la mente nasconde.,
Questa è la meraviglia che le stelle separa.
Il tuo cuore lo porto con me,
lo porto nel mio."

I medici mi hanno detto che è solo questioni di giorni e finalmente Ludovica conoscerà questo strano mondo in cui se si perde il momento della marea si rischia di rimanere indietro, in cui basta un soffio di vento perchè il cielo da grigio torni ad essere azzurro, in cui si deve morire un pò per poter vivere.
Non so cosa voglio fare. Domani, dopodomani, tra un mese. Non lo so. So soltanto che adesso questo dubbio non mi fa più paura, forse perchè ho imparato che il cambiamento porta con sè momenti di pura magia che solo se lo si accetta completamente si possono vivere fino infondo.

CAPITOLO 23 - Lontano da chi?

Fotografia di Cristina Barbieri
Spinoza disse: "Non c'è speranza senza paura nè paura senza speranza"




Mi sono sempre domandata se esiste una teoria sugli intervalli di tempo che separano gli eventi positivi da quelli negativi della vita. Si tratta di semplice casualità o episodi che si ripetono in modo costante e periodico, seguendo l’ordine scandito da una formula matematica che solo I geni conoscono? O semplicemente, qual è il criterio che sta alla base del tu sì, tu no? Dopo anni e anni in cui mi sono posta questa domanda senza mai trovare risposte sufficientemente convincenti, giunsi alla conclusione che le cose accadono a coloro che sono in grado di affrontarle.

Numero sconosciuto: “Pronto?”
Era la segreteria scolastica che mi diceva di correre a scuola, perchè Sveva si era fatta male a una gamba, mentre stava giocando a palla con I suoi compagni:
“E’ successo all’improvviso: il momento prima stava correndo e il momento dopo l’ho vista a terra in lacrime” spiegò la maestra.

CAPITOLO 22 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Qualcuno disse che "Amare vuol dire anche lasciar liberi di andare"

 
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GENNAIO 2005




Erano solo le cinque del pomeriggio e il cielo si andava oscurando, mentre calavano le prime ombre della sera. Era l’ora di uscire con Dylan, un cucciolo di Golden Retriver che Filippo mi regalò per il mio compleanno. Mi coprii a più strati, infilai cappello e guanti di lana, misi il guinzaglio a Dylan e andai ad affrontare il gelo. Appena misi piede fuori casa, assaporai immediatamente il profumo della prima neve. Stavo per incamminarmi verso i giardini che distavano pochi metri da casa mia, quando per caso guardai dalla parte opposta. Sentii il terreno crollare da sotto i miei piedi: feci un passo, guardai di nuovo e restai immobile. Paolo. Indossava dei jeans scuri e un giubbotto di pelle marrone. I suoi capelli erano sempre radi e la barba corta, ma incolta. Nonostante non lo vedessi da quasi quattro anni, ai miei occhi era sempre quel ragazzino di diciannove anni, dall'aria un pò trasandata, ma che mi piaceva tanto. Ero senza parole:
"Matilde!"
"Paolo!"
"E' bello rivederti dopo tutti questi anni!"
Gli corsi  incontro e istintivamente gli buttai le braccia al collo. I nostri corpi si unirono come accadeva un tempo. Mi bastarono pochi secondi per rendermi conto che di fronte a me c’era un uomo che una volta conoscevo, ma che adesso era qualcun altro, perciò mi staccai, facendo un passo indietro:
"Che ci fai qui?"
"Non lo so. Volevo farlo e basta."

CAPITOLO 21 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Abraham Lincoln disse: "La miglior cosa del futuro è che arriva un giorno alla volta."



LUGLIO 2004

 

Il giorno della laurea arrivò come tutti I giorni con la differenza che mi alzai prima di sentire la sveglia. Non fu un sonno tranquillo e sereno: feci fatica ad addormentarmi e durante la notte I miei occhi si aprirono almeno una quindicina di volte se non di più, giusto per assicurarmi che la sveglia dovesse ancora suonare. E poi finalmente l’alba: dormivano ancora tutti; senza fare troppo rumore sgattaiolai in bagno  e aprii I rubinetti della doccia. Dovetti aspettare qualche secondo prima che l’acqua diventasse calda. Colpa di uno scaldabagno troppo vecchio.
Mi spostai in soggiorno con l’ascigamano arrotolato sulla testa, ancora calda di vapore e con le guance rosse: Benedetta e Giorgio erano ancora nel mondo dei sogni. Da quando si erano sposati, il nostro bilocale si era fatto più stretto, ma non ne feci un problema. Mi rallegrava vedere gente girare per casa, un pò meno il disordine che l’unico maschio di casa era in grado di creare.
Le loro nozze vennero celebrate il 14 Giugno del 2003, nella chiesa dove si sposarono I nostri genitori: io ebbi l’onore di essere la testimone della sposa, mentre Sveva portò le fedi all’altare.La chiesa era addobbata con due mazzi enormi di rose bianche e fiori di arancio e tante piccole copie degli stessi mazzi a fianco ad ogni panca di legno. Infondo alla navata laterale c’era il fotografo impegnato a montare I faretti, una volta sistemati prese posto in prima fila in attesa di dare inizio agli infiniti scatti che avrebbero immortalato per sempre quel momento. Benedetta arrivò a bordo del vecchio maggiolone decappottabile che apparteneva alla sua migliore amica, l’altra testimone. L’aiutai ad uscire, facendo attenzione allo strascico ingombrante: era bellissima. Quando Giorgio vide la sposa, I suoi occhi brillarono di gioia e commozione, respirò profondamente: era pronto a prometterle eterno amore.

CAPITOLO 20 - Lontano da chi?

Foto di Beatrice Barbieri
Susanna Tamaro scrisse: "Quando ti si apriranno tante strade e non saprai quale scegliere, non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta. Respira con la profondità fiduciosa con cui hai respirato il giorno in cui sei venuto al mondo, non farti distrarre da nulla, aspetta e aspetta ancora, resta in silenzio ed ascolta il tuo cuore. E quando ti parla, alzati e vai dove lui ti porta"

SETTEMBRE 2000.



Al tempo dei fatti dell’asilo di Sveva, io e Benedetta ci procurammo dei libri per saperne qualcosa di più. Giravo spesso con qualche saggio in borsa che estraevo quando non avevo da leggere libri universitari. Non era l’uomo nero a spaventarla o creature simili, ma il timore che da un momento all’altro potessimo abbandonarla. Talvolta compariva terrorizzata e tremante nel cuore nella notte e cominciava a  strattonarmi perchè mi svegliassi. Allora mi alzavo con gli occhi ancora chiusi e la riaccompagnavo nel suo letto: accendevo la luce con le api, afferravo una delle tante fiabe e iniziavo a leggere, a fatica. Sveva, lì distesa, mi teneva stretta la mano. Appena il tono della mia voce di abbassava, lei diceva:
“Ancoa” la “r” per lei era spesso un optional. Quando le domandavo:
“Ma che fine ha fatto la “r”?”
Lei rispondeva: “Bo, io non l’ho vista!”
Ripetevo la fiaba due, tre volte: poi quando mi alzavo per tornare nel mio letto, convinta che si fosse tranquillizzata, mi giungeva la sua vocina:
“Non andae via!”
Allora tornavo indietro, l’accarezzavo con dolcezza, le facevo I grattini sul braccio e se vedevo che la situazione non migliorava, benchè ne fossi contraria, la facevo dormire con me.
E chissà come mai, appena toccava il mio letto e adagiava la testa sul mio cuscino, scivolava immediatamente in un sonno profondo. Io anche.

CAPITOLO 19 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri

Stephen Littleword disse: "Non ho mai detto addio a nessuno. Non ho mai lasciato che le persone a cui voglio bene se ne andassero. Sì, perchè le porto con me dovunque io vada. Nel mio cuore."

 
La mattina della partenza lo accompagnai all'aeroporto: arrivammo in anticipo, perciò mi sedetti sul carrello dove avevamo sistemato la sua sacca, in attesa del volo. Si sedette a terra, accanto a me con la schiena contro una colonna di marmo: gli afferrai la mano e gliela strinsi forte. Avrei voluto fermare il tempo, ma come sempre accade: quando non vuoi che scorra troppo in fretta, inevitabilmente succede. Presto arrivò il momento in cui si dovette imbarcare: gli gettai le braccia al collo e scoppiai a piangere.
"Scusami!"
"Non ti devi scusare...vedrai che ce la faremo anche questa volta!"
"Speriamo!" sospirai, ci baciammo un'ultima volta:
"Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo...andrei avanti all'infinito!"mi strinse forte, poi afferrò la sacca e si diresse verso il gate. Si voltò ancora una volta prima di sparire in mezzo a tutta la folla. Cominciavo ad odiare la separazione e tutto ciò che comportava. Lasciai l'aeroporto con la consapevolezza che avevo bisogno di lui più di prima e che il ricordo dei giorni trascorsi insieme non sarebbe bastato.
Ci scrivemmo molto più di prima e le telefonate erano più lunghe, poi, a fine Maggio, arrivò la notizia che avrebbe passato l'intera estate in Germania, in un campo per fare esercitazioni e migliorare la sua resistenza fisica, ecco che la realtà delle cose mi piombò addosso. Quello stesso sogno che fino a qualche mese prima mi faceva trepidare, cominciavo a sentirlo troppo lontano. Per quanto lo amassi ancora, per quanto lo pensassi sempre e intensamente, mi accorsi di non essere in grado di accettare la situazione: di lì a qualche settimana sarebbero cominciati gli esami, poi l'estate e a Ottobre l'università: in tutto questo lui non ci sarebbe stato. Certo non per colpa sua, ma non potevo più sopportare l'idea di basare la nostra storia su lettere, e-mail e soprattutto su una falsa speranza. 

CAPITOLO 18 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Alessandro Baricco scrisse: "Non si è mai lontani abbastanza per trovarsi"

 
Il 10 aprile, oltre ad essere il diciannovesimo compleanno di Irene, era anche il venticinquesimo compleanno di Benedetta. Le regalai un paio di orecchini d'argento con la promessa che saremmo andate insieme a farci i buchi, da sempre voluti, quanto temuti. Eravamo inspiegabilmente terrorizzate entrambe dalla pistola che con colpo sicuro avrebbe forato i nostri morbidi lobi. Con grande coraggio ci dirigemmo dal gioielliere dove le avevo comprato il regalo: avevo già un piede nella tana del lupo, quando Benedetta mi afferrò il braccio:
"Guarda che non dobbiamo per forza farli oggi!"
Le presi la mano e la guardai dritta negli occhi:
"o lo facciamo ora, o, conoscendoci, non lo faremo mai più!"
Finalmente decidemmo di entrare: eravamo attorniate da un gioco di luci e colori che riflettevano l'oro e l'argento, di cui il negozio straboccava.
Prendemmo posto su due seggioline, situate dietro il bancone: marito e moglie, proprietari della gioielleria si munirono di cotone, orecchini e pistola, pronti per impossessarsi dei nostri lobi.
"Tranquille ragazze, non ve ne accorgerete nemmeno!" ci rassicurò la donna. Benedetta alzò gli occhi al cielo e respirò profondamente.
BUM: fuoco. E uno era andato. BUM, di nuovo. E anche il secondo era stato fatto. Sentii mia sorella di nuovo respirare. I suoi occhi si aprirono e di seguito un sorriso di soddisfazione. Si lasciò sfuggire un lieve gemito di vittoria: "Sono sopravvissuta!" esclamò ridendo.

CAPITOLO 17 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri

Paul Verlaine scrisse: "Amami perchè senza te niente posso, niente sono"


 
Aprile arrivò. Di lì a pochi giorni sarebbe tornato Paolo: gli promisi che sarei andata a prenderlo all’aeroporto e così fu. L’8 Aprile alle 19.00 puntuali mi presentai a Malpensa con il cuore che mi  batteva in gola per la trepidazione a la paura che qualcosa tra noi potesse essere cambiato.
Le porte automatiche si aprirono: inizialmente non lo individuai, poi eccolo là, sulla sinistra. Indossava ancora la divisa e la borsa che aveva a tracolla era di notevole dimensioni. Aveva i capelli cortissimi, praticamente rasati, il viso un po’ più asciutto, ma era lui. Era Paolo. Mi bastò quell’attimo perché mi rendessi conto che tutte le mie preoccupazioni fossero state inutili. Mi vide. Fece appena in tempo a posare la sacca prima che gli saltassi addosso e ci baciassimo. Un bacio travolgente, tenero e passionale, carico di emozioni, da fare invidia alla miglior sceneggiatura di film romantico.

CAPITOLO 16 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Aristotele disse: "Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, nel grado giusto, al momento giusto, per lo scopo giusto e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque, questo non è facile."
 
“Prof!”
“Ciao Matilde!” 
“Le va un caffè alle macchinette? Non facendo religione ho l’ora buca!”
“Ascolta io devo correggere un pacco di compiti: facciamo che te lo offro io e in cambio mi dai una mano! Che ne dici?” 
“Posso dire di no?” domandai sorridendo.
“Ovviamente no!” esclamò facendomi l’occhiolino. 
La seguii in aula professori: stranamente era vuota, a parte il Dionigi e il Cassano che discutevano animatamente di fisica atomistica, e per me era come se parlassero in cinese, e il vicepreside coperto da un malloppo di fogli protocollo:
“Buongiorno signorina Casale!” 
“Buongiorno!”
“Ho saputo che quest’anno niente gita! Non sarà per caso colpa della vostra condotta?” 
“Ma va che scherza?! Noi classe di angioletti!”
Si lasciò sfuggire una risatina pungente poi la sua testa tornò china sui fogli protocollo. I suoi occhiali spessi e la sua capigliatura un po’ arruffata gli davano un’immagine divertente. Lui ne era consapevole e gli andava bene così. 
La Ferrari prese tutto il materiale di cui avremmo avuto bisogno e lo appoggiò sul tavolo:
“Tu prendi le verifiche di storia, mentre io prendo libri e penne e ci spostiamo in biblioteca!” 
Feci quello che mi disse, afferrai la pila di fogli e mi diressi verso l’uscita quando il mio sguardo cadde sulla prima pagina su cui la prof aveva riportato a mano le risposte corrette. Improvvisamente mi caddero tutti i compiti a terra e rimasi lì, con i piedi inchiodati al pavimento e gli occhi spalancati, incredula di quello che avevo appena scoperto.
“Matilde, ti ho chiesto di darmi una mano, non di complicarmi le cose!” 
“Ah io le complico le cose?!?! Lei invece si limita a rovinare i matrimoni!” Vidi il suo volto sbiancare.
“E’ inutile che mi guarda così! So benissimo chi è lei e mi creda mi fa solo schifo! Si è presa gioco di me e della mia famiglia per tutto questo tempo, se ne rende conto!?” 
Mi voltai e me ne andai: “Aspetta Matilde!” mi pregò lei.
“Aspetto cosa? Dica la solita frase di circostanza: “non è come pensi” magari poi si sente meglio!” Non fiatò. La fissai per qualche secondo: “Si pentirà di tutto questo!”

CAPITOLO 15 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Qualcuno disse: "Il triangolo solo in geometria è una costruzione innocua."

Ultima ora. La campanella suonò e come sempre i corridoi vennero invasi da centinaia di studenti, che non vedevano l’ora di mettere piede fuori da quella caserma.
All’uscita, fuori dal cancello c’era Marta seduta sul motorino di Irene: 
“Ciao Matilde! Ho sentito anche Irene e pensavamo di andare a mangiare qualcosa insieme, che ne dici?”
“No, io devo studiare e finire di preparare gli ultimi scatoloni, anche se ancora non abbiamo trovato un posto dove andare!” spiegai mortificata. 
“Eddai, un panino e poi tutti a casa!...Eccola!” disse aprendo le braccia verso Irene:
“Ciao ragazze! Che si dice? Ho un certo appetito, quindi propongo di andare subito a divorare qualcosa!” 
Nello stesso istante in cui irene smise di parlare arrivò la Ferrari:
“Ciao Matilde! Tutto bene? Come mai ieri non sei venuta a scuola?”  
Ci avrei scommesso che me lo avrebbe chiesto, ma non avevo voglia di raccontarle tutta la vicenda di Enrico e il fatto che fossimo di nuovo senza una casa, per cui le dissi la prima cosa che mi venne in mente: “C’era la mia sorellina che non stava bene e siccome Benedetta lavora sono dovuta rimanere io con lei!”
“Ah capisco! La prossima volta inventa una scusa migliore, perché non si sa mai che qualche occhio indiscreto ti possa vedere senza che tu te ne accorga!” 
“E va bene me la sono bigiata e con questo? Non mi sembra che ieri ci fosse qualche verifica o interrogazione! Perché mi deve stare con il fiato sul collo?” 
La domanda mi uscì spontanea.
“Ti ricordo che stai parlando con una tua insegnante!” 
“Certo quando le fa comodo mi fa da insegnante, se no da madre, o ancora da psicologa…forse è il caso di definire i nostri rispettivi ruoli!”

CAPITOLO 14 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Tennyson scrisse: "Una tempra di cuori eroici, resi deboli dalle fatiche e dal destino, ma forti nel voler lottare, cercare, trovare e non cedere mai."

  
La sveglia suonò alle 8.30. La moka era già sul fornello che borbottava come ogni mattina e Benedetta stava lavando e vestendo Sveva. Mi trascinai sul divano, aspettando il mio turno in bagno: pensai a cosa avrei saltato a scuola. Ovviamente nulla. Nessuna interrogazione e nessuna verifica prevista per quel giorno.  Il caffè era pronto: mi riempii una tazza e riempii quella rossa per mia sorella:
“E’ pronto!”  
“Arrivo, finisco con Sveva!”
“Guarda che si raffredda!” 
“Potresti anche portarmelo!”
Afferrai la tazza bollente con la pattina e la raggiunsi: “Tieni!” 
“Cos’è questo muso? Ieri sera mi sembravi soddisfatta e convinta del nostro piano!”
“Già…!” 
“Ohi non ti starai mica tirando indietro?” domandò con tono che si fece più serio.
“No no è solo che ho paura di non farcela…sì insomma metti che qualcosa vada storto?” 
“Credimi, insieme ce la faremo…ho fiducia in noi e soprattutto in te! Non vorrei altra persona al mio fianco!”
I miei occhi brillarono, le stampai un bacio sulla guancia: 
“Da quando sai dire quello che vorrei sentirmi dire?”
“Non credevo avessi una considerazione così bassa di me?!” disse dandomi un pizzicotto sulla gamba. 
“Mutande rosse o nere?”
“Dai scema…i tuoi mutandoni alla Briget Jones andranno alla grande!” esclamò ridendo. 
“Sfotti sfotti!!!” Le feci il gesto di legarmi al dito quello che aveva appena detto poi andai in camera mia, molto più tranquilla e rilassata.

CAPITOLO 13 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Jane Austen disse: "E come giudicare l'orgoglio: un difetto o una virtù?"

 
A partire da gennaio del 1999 cominciai il conto alla rovescia del tempo che mancava alla licenza di Paolo, prevista per Aprile, ma non fu l’unico mio pensiero: di lì a pochi mesi ci sarebbe stata la maturità e la scelta incombente sul mio futuro, che ancora mi sembrava un grosso buco nero. Benedetta insisteva molto con economia: non era una strada nuova, visto che era già stata sperimentata da mio padre e da mia sorella e forse per questo sarebbe stata più facilmente percorribile. Benchè la cosa mi convincesse poco per evitare di deludere l’aspettativa di Benedetta e crearle ulteriore amarezza, le dissi che l’avrei presa in seria considerazione. Allo stesso tempo però non mi lasciai sfuggire gli incontri di orientamento per la facoltà di giurisprudenza e lettere moderne. Piccoli dettagli che in quel momento preferii non riferirle.
L’8 Gennaio mi ritrovai di nuovo tra i banchi di scuola e mi domandai cosa spingesse una persona a fare l’insegnante…secondo me nella maggior parte dei casi: il potere di onnipotenza che possono esercitare su noi studenti. Insomma, ho conosciuto molti professori che insegnano e se ne fregano di cosa pensano di loro gli alunni. Dominano la classe con severità spesso eccessiva che sfocia nella minaccia per eccellenza: l’insufficienza. Sono duri, pretendono troppo e non li si contraddice solo per paura di una tremenda vendetta. Trovo che sia il peggior modo di insegnare a una persona come stare al mondo. Il bravo insegnante è la persona carismatica, che sa catturare l’attenzione di chi ha di fronte, ossia adolescenti spesso fastidiosi, mantenendo la disciplina. Questi sono pensieri di una giovane alunna che trae le sue conclusioni dopo 13 anni di esperienza scolastica, vista dal lato dei banchi sgangherati e non della cattedra.

CAPITOLO 12 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Charlie Chaplin disse: "Dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire"

 
Natale fu un tormento: era il primo senza i miei genitori e non avrei visto Paolo, mi disse che la sua licenza era prevista per Aprile. Ci eravamo scritti e sentiti per telefono, ma non lo vedevo da due mesi e avrei dovuto aspettarne altri quattro: ormai mi ero quasi abituata alla sua assenza e spesso mi domandavo quale sarebbe stata la mia reazione una volta che ci fossimo trovati l’uno di fronte all’altra: sarei corsa tra le sue braccia, o avrei aspettato che lui si avvicinasse a me? Il cuore avrebbe cominciato a battere all’impazzata oppure avrebbe conservato il suo battito regolare?
Continuavo a pormi quelle domande con insistenza, facendo viaggi mentali che sfioravano l’assurdo e che mi tenevano sveglia fino alle ore più improbabili. E poi era ricomparso Filippo, il mio primo amore adolescenziale, la mia prima vera cotta. E’ vero che era ricomparso come amico, ma ammetto di essere sempre stata molto scettica nei confronti di un’amicizia tra maschio e femmina soprattutto dopo che i due hanno avuto una storia importante: sono convinta che l’amicizia possa in certi casi trasformarsi in amore, nell’altro senso è difficile che funzioni a lungo.

CAPITOLO 11 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri

Virginia Woolf disse: "Se vuole scrivere romanzi una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sè"


Il mattino seguente Benedetta mi accompagnò a scuola, arrivammo in anticipo perciò restò con me fino a che i cancelli non vennero aperti. Lei mi diede la mano, feci un respiro profondo e aprii la portiera:
“Ci vediamo stasera!”
Annuii senza dire una parola e mi allontanai. Non era passato nemmeno un giorno e già mi mancava da morire. Quel pugno di ricordi che tenevo serrato nella mia mano, se da un lato mi dava sollievo, dall’altro mi metteva malinconia. Il momento prima sorridevo rammentando i nostri giorni insieme e il momento successivo mi facevo trascinare da una spirale senza fine di ricordi quasi assillanti.
Ma per quanto ci pensassi, per quanto sentissi la sua mancanza, la vita va avanti, giusto? Il mondo non si ferma ad aspettare me, assicurandosi che stia bene, vero? Verissimo, perché sono una ragazza come tante, che la pensa come tante e che soffre come tante: rappresento l’ordinario, la pura e semplice realtà. E quindi si corre, si corre per paura di rimanere indietro, si corre per paura di essere sopraffatti da ciò che ci circonda, si corre su una sottile lastra di ghiaccio e quando si tratta di frenare, ecco che la caduta è inevitabile.

CAPITOLO 10 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Bob Marley disse: "Si sbaglia sempre. Si sbaglia per rabbia, per amore, per gelosia. Si sbaglia per imparare. Imparare a non ripetere certi sbagli. Si sbaglia per poter chiedere scusa, per poter ammettere di aver sbagliato. Si sbaglia per crescere e per maturare. Si sbaglia perchè non si è perfetti."   


“ ‘giorno Benedetta!” dissi, trascinandomi verso di lei, indaffarata ai fornelli. Mi diede un bacio sulla fronte:
“Ciao Matilde! Il caffè è quasi pronto!”
Alle mie spalle comparve un tenero batuffolo rosa che procedeva a gattoni: Benedetta sorrise.
Andai incontro a Sveva e la presi in braccio: “Che bell’immagine: tutte e tre le sorelle Casale alle prese con la colazione!” esclamai, riempiendola di baci.
Mi aspettavo mi domandasse di Paolo, e invece non disse nulla, consumò la colazione in un rigoroso silenzio. Poi si alzò, lavò le tazze nel piccolo acquaio di marmo della cucina e andò a prepararsi.
“matilde, sbrigati!” mi esortò dal bagno;
“Guarda che mi sto vestendo!” borbottai dalla mia stanza. “ehi Benny, com’è andata la tua serata?” domandai, introducendomi in bagno e assumendo il controllo del lavandino.
“Normale!”
“Normale in senso buono o normale in senso noioso?”
“Normale!” insistette lei.
“Normale!” ripetei.
“Matilde, pensi di andare a scuola o andiamo avanti a oltranza a ripetere “normale”?”
“Ciao sorella misteriosa!” Le diedi un bacio sulla guancia e schizzai fuori dal bagno; pochi secondi dopo ricomparvi di nuovo sulla porta:
“Quindi normale?”
Benedetta, con mossa repentina, prese l’asciugamano e me lo lanciò, mi scansai: “E per la cronaca la mia è stata una bella serata!” le dissi dal corridoio.

CAPITOLO 9 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Blaise Pascal disse: "Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce."



Ancora 14400 secondi di attesa. Dalle quattro del pomeriggio in avanti cominciai a guardare l’orologio ogni dieci minuti: le otto mi sembravano così lontane. Picchiettai più volte sul quadrante per paura che per qualche strano motivo le lancette si fossero fermate. Ma ogni volta rimasi delusa: non era l’orologio a non funzionare, erano le ore che trascorrevano con interminabile lentezza.
Accesi la televisione: Rai 1 e Canale 5 erano oscurati e gli altri canali non trasmettevano nulla di interessante o che comunque potesse catturare la mia attenzione. Niente da fare: nemmeno la “distrazione per eccellenza” era riuscita a non farmi pensare alla serata che ancora doveva cominciare, a lui, a noi.
Avrei potuto chiamare Irene, sicuramente si sarebbe precipitata a casa mia in un batter d’occhio, ma questo avrebbe voluto dire raccontarle cos’era successo con Filippo e cosa significava per me Paolo. Il fatto è che non ero certa di saperlo nemmeno io e come avrei potuto spiegare ad un terzo una cosa che a me, in prima persona, era difficile comprendere?  Abbandonai l’idea di telefonarle.
Restai immersa nei miei pensieri fino a quando sentii vibrare il cellulare: un messaggio ricevuto.
Non volevo leggerlo: se fosse stato Paolo che mi diceva che del nostro appuntamento non se ne sarebbe fatto più niente?
Lo lasciai cadere sul divano: di certo una cosa del genere non avrebbe richiesto una risposta immediata anche perché per strozzarlo avrei dovuto avercelo fisicamente di fronte. 


CAPITOLO 8 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Sergio Bambaren disse: "L'amore è anche imparare a rinunciare all'altro, a saper dire addio senza lasciare che i tuoi sentimenti ostacolino ciò che probabilmente sarà la cosa migliore per coloro che amiamo."


Da quando avevamo combinato quel guaio disciplinare, la Ferrari non era più la stessa. Ci trattava con freddo distacco e non accennò più ai suoi discorsi sul rispetto e stima reciproca: noi le avevamo mancato di rispetto e lei aveva smesso di stimarci, di credere in noi, come all’inizio. Il suo sarcasmo si fece più tagliente e le sue reazioni molte volte eccessivamente esagerate:
“Prof, guardi che il cancellino della lavagna è caduto a terra!”  
Non lo avessi mai detto. Giuro solennemente che questa volta il tono della mia voce non fu sgarbato, né insolente:
“Certo Matilde che non smetti un secondo di fare la zitella! Ho per caso chiesto dove fosse il cancellino? Non mi sembra! Se tu ci tieni tanto a quella specie di straccio impregnato di gesso: vieni, lo raccogli e intanto che ci sei, pulisci la lavagna!” 
Vidi gli altri miei compagni scoppiare in una risata rumorosa. Io non ci trovavo nulla di divertente. In quel momento avrei voluto sprofondare almeno dieci metri sotto terra. Non potendolo fare, mi limitai ad abbassare lo sguardo sul Piacere di D’Annunzio.
Era diventata ufficialmente insopportabile: anche i miei compagni che inizialmente l’adoravano e la veneravano come una dea caduta dal cielo, cominciarono a percepire quanto, il suo modo di porsi, fosse spesso fastidioso e irritante. 
Forse aveva la scorza dura e il cuore tenero, forse era solo un modo per difendersi e cercare di nascondere le sue debolezze e insicurezze, o forse era davvero così sgradevole e indisponente, di una cosa però ero certa: all’età di 18 anni non si ha né la voglia, né l’interesse a trovare una giustificazione per questi comportamenti. Quindi, quando ci si trova di fronte ad una situazione del genere, il professore viene immediatamente catalogato come acerrimo nemico.


CAPITOLO 7 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Charles Bukowski disse: "Restare all'ufficio postale e impazzire...o andarmene e giocare a fare lo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame."


Sapevo che Paolo il mercoledì e il sabato lavorava nell’ officina Panisi di Viale Tibaldi. In realtà lo scoprii per caso quando accompagnai mia sorella a ritirare la Polo che aveva lasciato dal meccanico il giorno prima. Me lo vidi sbucare all’improvviso, vestito con la divisa dell’officina e le tasche piene di arnesi.
“Paolo?” 
“Matilde! Speravo non mi vedessi conciato in questo modo!”
“Perché? Devo ammettere che la tuta da meccanico ti dona molto!” 
Il suo sguardo cambiò, assunse improvvisamente un’espressione dura:
“Ah capisco! E’ con la tuta da meccanico che mi vedi bene, magari ti faccio anche un po’ pena. E’ vero che  Filippo va in Bocconi e guida la Golf. ” Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni uno straccio e si pulì le mani. 
Ero completamente basita: “Ma che cosa stai dicendo? Il mio era solo un…” non  mi lasciò terminare la frase: con rabbia lanciò lo straccio per terra:
“…era solo cosa? Un complimento che potesse abituarmi meglio all’idea di doverla indossare tutta la vita? Ma cosa ne sai tu della vita? Infondo ricca come sei, otterrai tutto con uno schiocco di dita!” 
I miei occhi erano lucidi, sentii il labbro inferiore cominciare a tremare. Strinsi i pugni lungo i fianchi:
“Chi sei veramente? Il ragazzo gentile e premuroso o quello arrogante e prepotente? Sputi sentenze come se tu fossi l’unica vittima di questo mondo ingiusto. Non sai un bel niente di me e nemmeno della mia famiglia. Vivo in un bilocale con le mie due sorelle, a mala pena arriviamo a fine mese e questa la chiami vita da principessa?!?”