CAPITOLO 11 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri

Virginia Woolf disse: "Se vuole scrivere romanzi una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sè"


Il mattino seguente Benedetta mi accompagnò a scuola, arrivammo in anticipo perciò restò con me fino a che i cancelli non vennero aperti. Lei mi diede la mano, feci un respiro profondo e aprii la portiera:
“Ci vediamo stasera!”
Annuii senza dire una parola e mi allontanai. Non era passato nemmeno un giorno e già mi mancava da morire. Quel pugno di ricordi che tenevo serrato nella mia mano, se da un lato mi dava sollievo, dall’altro mi metteva malinconia. Il momento prima sorridevo rammentando i nostri giorni insieme e il momento successivo mi facevo trascinare da una spirale senza fine di ricordi quasi assillanti.
Ma per quanto ci pensassi, per quanto sentissi la sua mancanza, la vita va avanti, giusto? Il mondo non si ferma ad aspettare me, assicurandosi che stia bene, vero? Verissimo, perché sono una ragazza come tante, che la pensa come tante e che soffre come tante: rappresento l’ordinario, la pura e semplice realtà. E quindi si corre, si corre per paura di rimanere indietro, si corre per paura di essere sopraffatti da ciò che ci circonda, si corre su una sottile lastra di ghiaccio e quando si tratta di frenare, ecco che la caduta è inevitabile.

CAPITOLO 10 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Bob Marley disse: "Si sbaglia sempre. Si sbaglia per rabbia, per amore, per gelosia. Si sbaglia per imparare. Imparare a non ripetere certi sbagli. Si sbaglia per poter chiedere scusa, per poter ammettere di aver sbagliato. Si sbaglia per crescere e per maturare. Si sbaglia perchè non si è perfetti."   


“ ‘giorno Benedetta!” dissi, trascinandomi verso di lei, indaffarata ai fornelli. Mi diede un bacio sulla fronte:
“Ciao Matilde! Il caffè è quasi pronto!”
Alle mie spalle comparve un tenero batuffolo rosa che procedeva a gattoni: Benedetta sorrise.
Andai incontro a Sveva e la presi in braccio: “Che bell’immagine: tutte e tre le sorelle Casale alle prese con la colazione!” esclamai, riempiendola di baci.
Mi aspettavo mi domandasse di Paolo, e invece non disse nulla, consumò la colazione in un rigoroso silenzio. Poi si alzò, lavò le tazze nel piccolo acquaio di marmo della cucina e andò a prepararsi.
“matilde, sbrigati!” mi esortò dal bagno;
“Guarda che mi sto vestendo!” borbottai dalla mia stanza. “ehi Benny, com’è andata la tua serata?” domandai, introducendomi in bagno e assumendo il controllo del lavandino.
“Normale!”
“Normale in senso buono o normale in senso noioso?”
“Normale!” insistette lei.
“Normale!” ripetei.
“Matilde, pensi di andare a scuola o andiamo avanti a oltranza a ripetere “normale”?”
“Ciao sorella misteriosa!” Le diedi un bacio sulla guancia e schizzai fuori dal bagno; pochi secondi dopo ricomparvi di nuovo sulla porta:
“Quindi normale?”
Benedetta, con mossa repentina, prese l’asciugamano e me lo lanciò, mi scansai: “E per la cronaca la mia è stata una bella serata!” le dissi dal corridoio.

CAPITOLO 9 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Blaise Pascal disse: "Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce."



Ancora 14400 secondi di attesa. Dalle quattro del pomeriggio in avanti cominciai a guardare l’orologio ogni dieci minuti: le otto mi sembravano così lontane. Picchiettai più volte sul quadrante per paura che per qualche strano motivo le lancette si fossero fermate. Ma ogni volta rimasi delusa: non era l’orologio a non funzionare, erano le ore che trascorrevano con interminabile lentezza.
Accesi la televisione: Rai 1 e Canale 5 erano oscurati e gli altri canali non trasmettevano nulla di interessante o che comunque potesse catturare la mia attenzione. Niente da fare: nemmeno la “distrazione per eccellenza” era riuscita a non farmi pensare alla serata che ancora doveva cominciare, a lui, a noi.
Avrei potuto chiamare Irene, sicuramente si sarebbe precipitata a casa mia in un batter d’occhio, ma questo avrebbe voluto dire raccontarle cos’era successo con Filippo e cosa significava per me Paolo. Il fatto è che non ero certa di saperlo nemmeno io e come avrei potuto spiegare ad un terzo una cosa che a me, in prima persona, era difficile comprendere?  Abbandonai l’idea di telefonarle.
Restai immersa nei miei pensieri fino a quando sentii vibrare il cellulare: un messaggio ricevuto.
Non volevo leggerlo: se fosse stato Paolo che mi diceva che del nostro appuntamento non se ne sarebbe fatto più niente?
Lo lasciai cadere sul divano: di certo una cosa del genere non avrebbe richiesto una risposta immediata anche perché per strozzarlo avrei dovuto avercelo fisicamente di fronte. 


CAPITOLO 8 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Sergio Bambaren disse: "L'amore è anche imparare a rinunciare all'altro, a saper dire addio senza lasciare che i tuoi sentimenti ostacolino ciò che probabilmente sarà la cosa migliore per coloro che amiamo."


Da quando avevamo combinato quel guaio disciplinare, la Ferrari non era più la stessa. Ci trattava con freddo distacco e non accennò più ai suoi discorsi sul rispetto e stima reciproca: noi le avevamo mancato di rispetto e lei aveva smesso di stimarci, di credere in noi, come all’inizio. Il suo sarcasmo si fece più tagliente e le sue reazioni molte volte eccessivamente esagerate:
“Prof, guardi che il cancellino della lavagna è caduto a terra!”  
Non lo avessi mai detto. Giuro solennemente che questa volta il tono della mia voce non fu sgarbato, né insolente:
“Certo Matilde che non smetti un secondo di fare la zitella! Ho per caso chiesto dove fosse il cancellino? Non mi sembra! Se tu ci tieni tanto a quella specie di straccio impregnato di gesso: vieni, lo raccogli e intanto che ci sei, pulisci la lavagna!” 
Vidi gli altri miei compagni scoppiare in una risata rumorosa. Io non ci trovavo nulla di divertente. In quel momento avrei voluto sprofondare almeno dieci metri sotto terra. Non potendolo fare, mi limitai ad abbassare lo sguardo sul Piacere di D’Annunzio.
Era diventata ufficialmente insopportabile: anche i miei compagni che inizialmente l’adoravano e la veneravano come una dea caduta dal cielo, cominciarono a percepire quanto, il suo modo di porsi, fosse spesso fastidioso e irritante. 
Forse aveva la scorza dura e il cuore tenero, forse era solo un modo per difendersi e cercare di nascondere le sue debolezze e insicurezze, o forse era davvero così sgradevole e indisponente, di una cosa però ero certa: all’età di 18 anni non si ha né la voglia, né l’interesse a trovare una giustificazione per questi comportamenti. Quindi, quando ci si trova di fronte ad una situazione del genere, il professore viene immediatamente catalogato come acerrimo nemico.


CAPITOLO 7 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Charles Bukowski disse: "Restare all'ufficio postale e impazzire...o andarmene e giocare a fare lo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame."


Sapevo che Paolo il mercoledì e il sabato lavorava nell’ officina Panisi di Viale Tibaldi. In realtà lo scoprii per caso quando accompagnai mia sorella a ritirare la Polo che aveva lasciato dal meccanico il giorno prima. Me lo vidi sbucare all’improvviso, vestito con la divisa dell’officina e le tasche piene di arnesi.
“Paolo?” 
“Matilde! Speravo non mi vedessi conciato in questo modo!”
“Perché? Devo ammettere che la tuta da meccanico ti dona molto!” 
Il suo sguardo cambiò, assunse improvvisamente un’espressione dura:
“Ah capisco! E’ con la tuta da meccanico che mi vedi bene, magari ti faccio anche un po’ pena. E’ vero che  Filippo va in Bocconi e guida la Golf. ” Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni uno straccio e si pulì le mani. 
Ero completamente basita: “Ma che cosa stai dicendo? Il mio era solo un…” non  mi lasciò terminare la frase: con rabbia lanciò lo straccio per terra:
“…era solo cosa? Un complimento che potesse abituarmi meglio all’idea di doverla indossare tutta la vita? Ma cosa ne sai tu della vita? Infondo ricca come sei, otterrai tutto con uno schiocco di dita!” 
I miei occhi erano lucidi, sentii il labbro inferiore cominciare a tremare. Strinsi i pugni lungo i fianchi:
“Chi sei veramente? Il ragazzo gentile e premuroso o quello arrogante e prepotente? Sputi sentenze come se tu fossi l’unica vittima di questo mondo ingiusto. Non sai un bel niente di me e nemmeno della mia famiglia. Vivo in un bilocale con le mie due sorelle, a mala pena arriviamo a fine mese e questa la chiami vita da principessa?!?” 

CAPITOLO 6 - Lontano da chi?

Foto di Beatrice Barbieri
Eleanor Roosevelt said: "You must do the things you think you cannot do"


Quasi mi mancò il fiato. Accesi la luce: Ero tutta sudata. Non riconoscevo nulla di ciò che mi stava intorno. Impiegai qualche minuto prima di realizzare che mi trovavo nella nuova casa: scoppiai in lacrime. Mi mancava la vecchia casa, mi mancava il suo odore, le sue stanze, i suoi muri troppo bianchi, il suo disordine, le sue imperfezioni: cominciai a dare pugni al cuscino. Poi le mie mani coprirono il mio viso, la mia bocca: volevo piangere in silenzio.
Facendo attenzione a non fare troppo rumore, uscii dalla stanza e andai in bagno, che separava la camera dove dormivamo io e Sveva, dal salotto, nel cui divano letto dormiva Benedetta. 
Mi sciacquai la faccia con l’acqua fredda, poi affondai il viso nell’asciugamano. Quando lo rimisi al suo posto vidi la mia immagine riflessa nello specchio. I miei occhi, a volte troppo severi, mi scrutavano, come per accertarsi che fossi proprio io, che quel volto fosse proprio il mio e allo stesso tempo per capire quanto ci fosse di diverso e se fossi stata in grado di affrontare tutto quello che sarebbe venuto.
Tornai a letto e pensai a quando papà mi raccontava la storia dei Pisani, uomini piccoli piccoli, che grazie alla magia, creavano luoghi fantastici, che noi umani, potevamo visitare solo attraverso i sogni.

CAPITOLO 5 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Martin Luther King disse: "Nulla al mondo è più pericoloso di un'ignoranza sincera ed una stupidità coscienziosa"


 
Un sottile spiraglio di luce filtrava attraverso la finestra, illuminando la mia stanza. Mi svegliai prima del suono della sveglia. Mi diressi in cucina per preparare la colazione: sul tavolo c’era un biglietto.
“Porto Sveva all’asilo, passo dall’avvocato per firmare dei documenti e poi vado al lavoro. Ti ho firmato la giustifica. Non voglio firmarne altre per almeno un mese. Buona giornata.
p.s. con Enrico tutto sotto controllo”
Ci rimasi male, speravo di fare colazione con lei. Sorseggiai il caffè bollente, guardando Magnum PI, mi vestii e andai a scuola. Sul serio.

CAPITOLO 4 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri


Mahatma Gandhi disse: "La vita non è aspettare che passi la tempesta… ma imparare a ballare sotto la pioggia."


La mattina successiva mi alzai a fatica: mia sorella non voleva saperne di scendere dal letto e cominciare una nuova giornata. Mi sdraiai per qualche minuto vicino a lei. La vedevo così grande rispetto a me, ero affascinata dal suo mondo, dalla sua vita, dalla sua determinazione e vederla così disperata e avvilita mi faceva male.
Le strinsi la mano, mi ricordo che gliela strinsi forte: “Non sei sola! Vedrai che ce la faremo! Dobbiamo resistere e avere tanta pazienza!” le dissi;
Riuscii a strapparle un sorriso: “Da quando sei diventata così ottimista?”
“Credo da quando ne ho sentito il bisogno di esserlo!”
Scivolò fuori dal letto e andammo in cucina dove avremmo celebrato il nostro abituale rito del caffè.
“Oggi ho un altro colloquio in uno studio di architetti …. come segretaria s’intende!”
“Vedrai che verranno subito catturati dal tuo fascino!” dissi cercando di caricarla emotivamente.
“Speriamo, Matilde, perché ti assicuro che abbiamo veramente bisogno di quel lavoro! Nel pomeriggio passo da Enrico – il suo ex ragazzo – perché so che sua madre stava cercando qualcuno a cui affittare un bilocale!”
Quando sentii la parola “bilocale” ebbi una fitta al cuore: avevo sperato fino all’ultimo che la conversazione della sera prima fosse stato solo un terribile incubo, ben lungi da essere reale, ma quell’illusione durò poco. 

CAPITOLO 3 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri

Alessandro Baricco disse: “Accadono cose che sono come domande, passa un minuto oppure anni, e poi la vita risponde.”



Un respiro profondo. Solo un respiro profondo. Infondo non si trattava di una cosa nuova… sì lo era, ma solo in parte. Era la paura del cambiamento, della cosa diversa, ignota, eccitante, ma allo stesso tempo paralizzante.
Compiva i soliti gesti quotidiani, ma questa volta dedicando loro maggior attenzione. Guardò nervosamente l’orologio: 7.15.
“Matilde, ti sei alzata dal letto?”
Risposi con un gemito.
Si guardò allo specchio: nella mano sinistra teneva un ometto, con appesa una gonna a pieghe e nella mano destra, un ometto con appesi un paio di pantaloni neri. La camicia bianca, che indossava, sciancrata sui fianchi, stava bene con entrambi:
“Decisamente la gonna: per il giorno del colloquio devi essere perfetta!” esclamai, comparendo silenziosamente alle spalle di Benedetta, con in mano due tazze fumanti di caffè, ne lasciai una sulla mensola, entrai in bagno e chiusi la porta. Lei bussò:
“Quelle nere con il tacchettino basso, senza calze! Hanno detto che oggi sarà una giornata molto calda..”
“Ti adoro, quando mi leggi nel pensiero.”
Con il sorriso stampato sul viso, ritornò nella sua stanza, assaporando il caffè e finendosi di preparare.
“Come sto?”
“Sei perfetta!”
“Cosa ti ho promesso perché rispondessi così alla mia domanda?”
Sorrisi: “Se non ricordo male: una settimana ai Caraibi!”
“Solo? Credevo almeno un mese! Dai, andiamo!”
Uscimmo di casa e con passo svelto ci dirigemmo verso la Polo parcheggiata in garage. Tutti dicevano che ci assomigliavamo molto: stessi occhi profondi, stesso sorriso, due fossette ai lati della bocca, e solo sette anni di differenza. 

Prima fermata: l’asilo nido di Sveva. Seconda fermata: il mio liceo. Stava per cominciare un nuovo anno, l’ultimo che avrei trascorso in quella scuola e la cosa mi spaventava parecchio, dal momento che l’avrei dovuto affrontare con un vuoto incolmabile, che, nove volte su dieci, mi provocava una fitta dolorosissima al cuore.
“Buona giornata: ricordati che ho lasciato nel solito cassetto della cucina i soldi per la tintoria, ci vediamo per l’ora di cena! Toast?”
“Benny, oggi è Lunedì ed è la giornata sabbatica della nostra tintora e i toast sono finiti, come tutto il resto!”
“Come non detto! Allora vedrò di fare un salto al supermercato!”
Aprii la portiera, prima di scendere mi voltai verso Benedetta e le diedi un bacio sulla guancia: “In bocca al lupo!”
“Crepi!” incrociò le dita e sospirò profondamente.