CAPITOLO 18 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Alessandro Baricco scrisse: "Non si è mai lontani abbastanza per trovarsi"

 
Il 10 aprile, oltre ad essere il diciannovesimo compleanno di Irene, era anche il venticinquesimo compleanno di Benedetta. Le regalai un paio di orecchini d'argento con la promessa che saremmo andate insieme a farci i buchi, da sempre voluti, quanto temuti. Eravamo inspiegabilmente terrorizzate entrambe dalla pistola che con colpo sicuro avrebbe forato i nostri morbidi lobi. Con grande coraggio ci dirigemmo dal gioielliere dove le avevo comprato il regalo: avevo già un piede nella tana del lupo, quando Benedetta mi afferrò il braccio:
"Guarda che non dobbiamo per forza farli oggi!"
Le presi la mano e la guardai dritta negli occhi:
"o lo facciamo ora, o, conoscendoci, non lo faremo mai più!"
Finalmente decidemmo di entrare: eravamo attorniate da un gioco di luci e colori che riflettevano l'oro e l'argento, di cui il negozio straboccava.
Prendemmo posto su due seggioline, situate dietro il bancone: marito e moglie, proprietari della gioielleria si munirono di cotone, orecchini e pistola, pronti per impossessarsi dei nostri lobi.
"Tranquille ragazze, non ve ne accorgerete nemmeno!" ci rassicurò la donna. Benedetta alzò gli occhi al cielo e respirò profondamente.
BUM: fuoco. E uno era andato. BUM, di nuovo. E anche il secondo era stato fatto. Sentii mia sorella di nuovo respirare. I suoi occhi si aprirono e di seguito un sorriso di soddisfazione. Si lasciò sfuggire un lieve gemito di vittoria: "Sono sopravvissuta!" esclamò ridendo.


Per pranzo andammo al Panino Giusto per gustarci i nostri favolosi "Diplomatici", lì ci raggiunse la Ferrari con Sveva. Ormai era entrata a far parte della nostra famiglia, visto che non molto numerosa, le new entries erano ben accette. Aveva amato mio padre, pur sapendo che era sposato, è vero, ma non potevo fargliene una colpa. O per le meno non potevo addossarla solo a lei. Non sarebbe stato giusto e poi era stata in grado di trasmettermi un sincero affetto di cui sentivo di avere bisogno in quel periodo della mia vita: quindi l'accettai e basta.
Ecco che la porta a vetri venne aperta da due sagome conosciute:
" 'giorno Michi (dopo tutti gli accadimenti che ci avevano coinvolte, "prof" la chiamavo solo a scuola)! Ciao amorino!" diedi un bacio a Sveva che, come sempre, aveva il sorriso stampato.
Provai ad estraniarmi per vedere come potevamo apparire agli occhi di sconosciuti: mi parve una bella immagine, omogenea e, soprattutto, compatta. 

La casa di Irene, situata in una tranquilla zona residenziale della tanto caotica Milano, si ergeva su tre piani con terrazzo sul tetto: tutt'intorno al primo piano correva un'ampia veranda da cui giungeva il suono di molte voci e la musica non troppo alta. C'era  anche un barbecue acceso e presto si diffuse in tutto l'ambiente il profumo di salsiccia e hamburger. Entrai per mano a Paolo: immediatamente mi vennero in contro Marta e Meggie. Gliele presentai.
"Irene?" domandai, guardandomi in torno.
"Credo sia..." Marta non fece in tempo a terminare la frase che alle sue spalle comparve la mia diciannovenne preferita: i suoi riccioli pendevano come fusilli bagnati, indossava uno splendido abito rosso con decoltè nere e l'insieme risaltava il suo fisico atletico. Le andai in contro e l'abbracciai forte: "Auguri!!!"
"Grazie!!! Meno male sei arrivata: sono agitatissima, ho sempre paura che le feste non decollino!"
"Non ti preoccupare, la faremo decollare! Ho una fame che divorerei qualunque cosa!" ammisi, dirigendomi verso la veranda.
"Ah mi sono scordata di dirti una cosa!"
"Che cosa?" domandai meravigliata.
"Ehi!" una voce maschile, decisamente familiare, si inserì tra me e Irene, mi voltai.
"Ciao Filippo!"
"Ciao Matilde!"
Ci osservammo per qualche istante: " E' da un pò che non ci vediamo: come stai? Come va con il tuo soldatino?"
"Stai forse parlando di me?" si introdusse Paolo, prendendomi la mano.
Filippo gli diede una pacca sulla spalla, come gesto di estrema confidenza: "We, ti vedo in gran forma!" esclamò, scrutandolo dalla testa ai piedi: "Ti fermi o sei di passaggio?"
L'argomento non lo avevo ancora volutamente affrontato, volsi lo sguardo verso Paolo, in attesa delle parole che avrebbe pronunciato:
"Purtroppo sono solo di passaggio: tra una settimana devo tornare in caserma!"
Sentendo quella risposta, il mio corpo si irrigidì, quasi senza accorgermene tolsi la mia mano dalla sua: "Irene, andiamo a bere qualcosa?"
"Ho detto qualcosa di sbagliato?" chiese Filippo, già pronto a rimediare con la sua irrefrenabile parlantina.
"No, tranquillo, tu no!" 
Il mio sguardo severo, ma allo stesso tempo sconcertato si posò su Paolo, poi con andatura rapida, mi spostai nel salone, seguita da Irene: salutammo qualche volto conosciuto per poi fermarci al tavolo degli alcolici, dove il cugino di Irene ci servì una vodka lemon. Dalla fessura della finestra vidi Paolo conversare con un paio di ragazze del mio liceo. Non sembrava per nulla turbato dal fatto che mi fossi allontanata da lui. Inspirai profondamente ed espirai piano:
"Ehi cosa succede?"
"La verità, Irene, è che non credo di farcela!"
"A fare cosa?"
"A mantenere una storia a distanza, in cui ci si può vedere solo in date prestabilite!"
"Ti capisco! Ma ne avete parlato?"
"No, sembra che entrambi non vogliamo affrontare il problema. Solo che io poi ne vengo a parlare con te, facendoti capire quanto stia male, mentre lui va a fare il brillante con le altre!"
"Credimi, dovreste parlarne e il prima possibile, se no va a finire che banali incomprensioni, assumano un peso troppo elevato!"
"Hai ragione! Stasera però voglio concentrarmi solo su di te: che ne dici di un brindisi?"
"Abbiamo appena bevuto una vodka lemon a stomaco vuoto?!"
"Che sarà mai...i diciannove anni si festeggiano una sola volta nella vita!" le feci l'occhiolino e afferrai la bottiglia di spumante dal secchiello del ghiaccio.
Mentre sorseggiai la bevanda sentii prima la schiuma e poi le bollicine solleticare la lingua, come tanti piccoli spilli. I miei occhi continuavano a puntare Paolo, se ne accorse. Mi voltai di colpo e ingurgitai tutto di un fiato.
"Dai, balliamo!" Filippo mi afferrò una mano e mi trascinò in mezzo alla stanza: stavo già divincolarmi, ma poi vidi che Paolo si era girato e mi stava guardando:
"Va bene, ma toglimi una curiosità, da quando ti piace ballare?" Appoggiai una mano sulla sua spalla e mi misi a ballargli accanto.
"Da un pò...ti muovi benissimo, sai?" mi sussurrò all'orecchio, facendomi scorrere le mani lungo la mia schiena. Mi accorsi della precisione con cui si muovevano i nostri bacini, forse troppo, improvvisamente comparve Paolo che mi piazzò un bicchiere in mano:
"Bevi!" mi disse senza darmi tempo di poter rifiutare.
Mi staccai da Filippo:
"Finito o disturbo?" domandò con evidente sarcasmo.
"Stiamo solo ballando!" spiegai con tono del tutto innocente.
"Allora se così è vi lascio pure continuare, io vado a casa!"
Si allontanò, sparendo in mezzo a tutta la gente che si era riversata nella stanza negli ultimi cinque minuti.
"Scusami Filippo, ma devo andare!" 
Mi feci largo e finalmente raggiunsi la veranda, guardai a destra e poi a sinistra: di Paolo non c'era traccia, mi affacciai per vedere se si era effettivamente diretto alla macchina. La strada era deserta. "Maledizione!" Rientrai passando per la cucina, quindi fermandomi nel secondo salone meno affollato. Non era nemmeno lì. Per un attimo chiusi gli occhi, come per volermi isolare da tutto e capire cosa avrei dovuto fare. Sentii due braccia forti e muscolose cingermi la vita: misi le mie mani sulle sue. Riaprii gli occhi e mi voltai.
"Non ti trovavo da nessuna parte! Se vuoi andare, vengo via con te!"
"Restiamo: è la festa della tua migliore amica!"
"Sicuro? Lei capirebbe"
"Sicuro!"
Visti i nostri stati d'animo, avremmo fatto meglio ad andare  ognuno a casa sua. Invece, decidemmo di restare: lui in disparte, senza partecipare alle conversazioni e guardandosi intorno, come per studiare il mio mondo. Mi accorsi subito che era più distaccato del solito, era completamente assente e tutte le volte che gli chiedevo se c'era qualcosa che non andava, lui negava, quasi infastidito: "Sono solo un pò stanco!"
Cercai di rimediare, prendendogli di tanto in tanto la mano, parlando di lui e della sua vita da soldato alle altre, poi però mi stancai del suo atteggiamento e ci rinunciai. Era intrattabile e io stanca. Tornammo a casa senza rivolgerci la parola. Lo salutai senza nessun tipo di contatto fisico e scesi dalla macchina.
"Matilde?"
"Sì?"
Mi guardò restando in silenzio poi distolse lo sguardo:
"Niente, buona notte!"
"Buona notte!"

Delusa e arrabbiata del suo silenzio, mi buttai sul letto, sperando di addormentarmi il prima possibile. Non fu così. Ci misi tanto ad addormentarmi: i miei occhi puntavano il cellulare, sperando di ricevere un suo messaggio. Niente di niente. La mattina dopo mi alzai ancora più nervosa della sera prima.
Mi svegliai presto, senza fare troppo rumore, lavai e vestii Sveva e uscimmo di casa. Benedetta non avrebbe aperto gli occhi prima dell'ora di pranzo.
Alle 12.30 avevamo finito il nostro giro, Benedetta si era appena alzata, le preparai una tazza di caffè e nel frattempo misi a bollire l'acqua per la pasta. Ormai conoscevo gli orari di Paolo, sapevo che anche lui era un mattiniero, eppure non avevo ancora ricevuto una sua chiamata. Non avendo nient'altro da fare, mi sdraiai sul divano letto e accesi la televisione. Solo Tg e spot pubblicitari, ascoltai qualche notizia di cronaca, poi mi stufai e la spensi. Il tempo sembrava non voler passare. Mi alzai per andare a controllare l'acqua. Ancora non bolliva, presi un coperchio e lo adagiai sopra alla pentola. Mi spostai nella mia stanza: per ingannare l'attesa, cominciai ad appendere tutti i vestiti accatastati sulla sedia e sulla scrivania e a sistemare i giochi di Sveva. Una volta finito, andai in bagno per vedere a che punto era Benedetta: le sue docce sapevi quando inziavano, ma mai quando finivano. La sollecitai, fingendo che avevo già calato da qualche minuto la pasta. Nel frattempo ne approfittai per lavarmi per la terza volta i denti. Quindi andai in cucina e finalmente potei calare due etti di penne rigate. Nessun segno di lui. La cosa mi stava lentamente sfinendo, provai a rassicurarmi, convincendomi che molto probabilmente aveva una spiegazione plausibile e me lo ripetei circa un milione di volte. Andai sul balcone per prendere un pò d'aria: diedi una rapida occhiata alla strada, il parcheggio era mezzo vuoto.
"Va tutto bene?" mi domandò Benedetta, comparendomi alle spalle: "Ti ho sentito parlare da sola e mi sono preoccupata!"
"Sìsì, figurati, era solo una prova di autoconvincimento finita male!"
In quell'esatto istante, vidi l'acqua uscire dalla pentola: "Maledizione!"  soffiai sulla schiuma che si era formata e abbassai la fiamma, troppo, infatti si spense:
"al diavolo, la mangeremo un pò al dente!"
Benedetta si accorse che non era il momento per contestare la mia decisione: mi passò le pattine e si sedette a tavola.
Passò mezzora, un'ora. Quando sentii il cellulare suonare, lo afferrai con rabbia, il nome Paolo appariva a intermittenza sul display: respirai profondamente e risposi.
"Pronto?"
"Ciao Matilde!" La sua voce era quasi allegra.
"Ciao Paolo!" la mia un pò meno.
"Ti ho disturbato? stavi mangiando?"
"No, abbiamo appena finito!"
"Scusa se non ti ho chiamato prima, ma ho accompagnato mia mamma in campagna dalle mie zie e sono appena tornato!"
"Capito!" dissi, soltanto.
"Che cosa c'è?"
"Niente!" mentii.
"Sei sicura che vada tutto bene?"
"Hai ragione non sono sicura, forse dovresti spiegarmi il perchè di questo tuo modo di comportarti! La cosa sta diventando  un pò irritante!"
"Ieri sera, tu...?"
"Io cosa?" lo interruppi subito; "non dare la colpa a me, non ci provare: eravamo a una festa, ci saremmo potuti divertire...se tu non te ne fossi stato muto, in disparte?"
"Non hai pensato forse che il mio comportamento dipendesse dal fatto che non avevo voglia di stare lì?"
"E' inutile, non ne veniamo a capo! Ti saluto!"
"Aspetta!"
"Sono stufa, Paolo, sono stufa e stanca... la nostra storia è destinata a non funzionare. Ci sono troppe cose che non vanno come dovrebbero andare. Ho solo diciotto anni e ancora non sono in grado di gestire una storia simile!"
"Ti prego non dire così! Dammi dieci minuti e sono da te così  ne parliamo con calma!"
restai in silenzio:
"Ci sei?"
"Ti aspetto. Ciao!"

Suonò il citofono: lo feci salire e ci chiudemmo in camera mia.
"Credi davvero nelle cose che mi hai detto?"
Lo guardai dispiaciuta: "Non lo so! So soltanto che alle mie amiche non ho fatto altro che parlare di te, dicendo loro quanto fossi in gamba, quanto fossi maturo, quanto fossi speciale... e loro, invece, hanno visto un lato di te che non conoscevo nemmeno io! Oggi mi sono dovuta scusare con Irene, i suoi amici dicevano che lanciavi certe occhiatacce!"
"Mi spiace per ieri sera..."
"fai bene...loro sono i miei amici. Irene è la mia migliore amica!"
"Lo so!"
"E allora cosa sta succedendo?"
"Ieri festa di Irene, comunque vai tutti i giorni a scuola e devi studiare, devi fare babysitter un giorno sì e uno no, hai  i tuoi amici e io?? tra meno di una settimana riparto...vorrei solo che passassimo più tempo insieme, vorrei che le cose fossero come prima che io partissi!"
"E' questo che ti dà fastidio? il fatto che io abbia la giornata organizzata da quando mi sveglio a quando vado a dormire? Che cosa vorresti che facessi? Che annullassi tutti gli impegni della settimana? E' la mia vita, lo è quando ci sei e soprattutto quando non ci sei!"
"Maledizione, volevo solo passare più tempo possibile con te! Tutto qui!" Replicò per l'ultima volta, poi afferrò le chiavi della macchina e uscì di casa.
Lo guardai uscire, ma non lo fermai. Di stare a casa non ne volevo sapere, perciò trascinai in giro per la città Benedetta: negozi, merenda, parco e di nuovo a casa. Volevo stancarmi il più possibile per poi arrivare a casa esausta, mangiare e crollare in un sonno profondo.
Giunta nella mia via, vidi la macchina di Paolo parcheggiata esattamente accanto alla nostra, mi avvicinai, aprii la portiera:
"Ciao!"
Mi guardò e accennò una specie di sorriso, leggermente coperto dalla barba che stava crescendo:
"Ti va di andare a fare un giro?"
La mattina seguente sarei dovuta andare a scuola e già potevo immaginare cosa mi avrebbe detto Benedetta: la guardai, sperando di ottenere il suo consenso senza troppo giri di parole:
"Perfavore non fare tardi!"
"Grazie, prometto che non starò fuori molto! E grazie per la giornata di oggi!"
Salii in macchina e ci allontanammo dalla mia strada. Rimanemmo in silenzio per tutto il tragitto: poi si fermò.
"Dove siamo?" domandai guardandomi intorno.
"Non ti ricordi proprio?"
C'era poca luce, alzai la testa: riconobbi la terrazza.
"Siamo alla Taverna del tempo perso... ma la strada che abbiamo fatto non mi è sembrata la stessa!"
"Ottima osservatrice...ora siamo sul retro, così possiamo raggiungere la terrazza senza dover passare per il ristorante!" e mi mostrò le chiavi. Mi fece strada, lo seguii, prima di entrare, gli afferrai la mano, proprio come era successo al nostro primo appuntamento: "Colpa del buio!" mi giustificai, lasciando sfuggire un sorriso.
Percorremmo due rampe di scale: si mise dietro di me e le sue mani coprirono i miei occhi: sentii sul sottofondo la canzone "Kiss the rain", in quel momento le mie gambe cominciarono a tremare.
"Ci siamo quasi! Attenta al gradino... sei pronta?"
Respirai profondamente: "Sono pronta!"
Tolse le mani: per un attimo pensai che il mio cuore non avrebbe retto un'emozione simile, lo sentii accelerare come mai era successo. C'erano cesti di margherite e girasoli che portavano a una coperta di seta, su cui era stato apparecchiato con servizi d'argento, il tutto circondato da un cuore di candele e da sottofondo continuava ad esserci la nostra canzone. Si strinse a me, avvertii il calore del suo corpo: "Mi hai sempre detto che le rose non ti piacevano..." mi sussurrò all'orecchio, poi mi prese per mano: "Avevi ragione tu, ho sbagliato e ho agito senza pensare...mi dispiace!" il mio indice toccò le sue labbra. 
"Cerco di essere piena di impegni perchè mi illudo che così sia meno difficile separarci, sì insomma, capisci cosa intendo dire? Tra pochi giorni partirai di nuovo e chissà tra quanti mesi ci rivedremo, mentre io dovrò continuare per la mia strada."
Mi sedetti sui cuscini attorno a quella tavola perfetta: lui si chinò e mi baciò. 
 "Ora siamo insieme: io e te!"
Mi strinse a lui, accarezzandomi il viso, chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da quelle parole. 

Facemmo l'amore perchè sapevamo che quel gesto ci avrebbe fatto diventare una persona sola, senza distinzione di chi partiva e chi restava.

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