Foto di Cristina Barbieri |
Ultima ora.
La campanella suonò e come sempre i corridoi vennero invasi da centinaia di
studenti, che non vedevano l’ora di mettere piede fuori da quella caserma.
All’uscita, fuori dal cancello
c’era Marta seduta sul motorino di Irene:
“Ciao Matilde! Ho sentito
anche Irene e pensavamo di andare a mangiare qualcosa insieme, che ne dici?”
“No, io devo studiare e finire
di preparare gli ultimi scatoloni, anche se ancora non abbiamo trovato un posto
dove andare!” spiegai mortificata.
“Eddai, un panino e poi tutti
a casa!...Eccola!” disse aprendo le braccia verso Irene:
“Ciao ragazze! Che si dice? Ho
un certo appetito, quindi propongo di andare subito a divorare qualcosa!”
Nello stesso istante in cui
irene smise di parlare arrivò la Ferrari:
“Ciao Matilde! Tutto bene?
Come mai ieri non sei venuta a scuola?”
Ci avrei scommesso che me lo
avrebbe chiesto, ma non avevo voglia di raccontarle tutta la vicenda di Enrico
e il fatto che fossimo di nuovo senza una casa, per cui le dissi la prima cosa
che mi venne in mente: “C’era la mia sorellina che non stava bene e siccome
Benedetta lavora sono dovuta rimanere io con lei!”
“Ah capisco! La prossima volta
inventa una scusa migliore, perché non si sa mai che qualche occhio indiscreto
ti possa vedere senza che tu te ne accorga!”
“E va bene me la sono bigiata
e con questo? Non mi sembra che ieri ci fosse qualche verifica o
interrogazione! Perché mi deve stare con il fiato sul collo?”
La domanda mi
uscì spontanea.
“Ti ricordo che stai parlando
con una tua insegnante!”
“Certo quando le fa comodo mi
fa da insegnante, se no da madre, o ancora da psicologa…forse è il caso di
definire i nostri rispettivi ruoli!”
Intanto, notando che la
conversazione si stava scaldando, Marta e Irene si allontanarono: “E ora se non
le dispiace andrei!”
Mi voltai e le raggiunsi.
Irene mi afferrò per un
braccio: “Va tutto bene?”
“Sì sì tutto ok…solo una
stupida discussione!” Rimasi un attimo in silenzio: “Sono stata troppo
aggressiva?”
“Diciamo che sei stata
abbastanza chiara e il tono non era certo pacato!” intervenne Marta: “Ma chi
è?”
“E’ la mia prof di italiano!”
“Ma è giovanissima, non come i
miei prof che hanno come minimo cinquant'anni per gamba e poi sembra essere
simpatica!”
“Abbiamo due caratteri forti e
inevitabilmente ci scontriamo. Però a lei mi sto davvero affezionando!”
Ci sedemmo ad un tavolino e
cominciammo a sfogliare le pagine del menù: nonostante il locale fosse
piuttosto affollato vennero quasi subito a prendere l’ordinazione: tre Maxi
Paesani, una bomba calorica di tonno, gamberetti pomodori e straboccante di
salsa rosa.
“...e senti un po’ ruba cuori:
sappiamo tutti che tu hai fatto breccia nel cuore sia di Paolo che di Filippo,
ma ancora non ci è chiaro chi dei due abbia rubato il tuo di cuore!” disse
Marta voltandosi verso di me e mettendo le braccia conserte: “Tra un paio di
mesi Paolo tornerà e tu ti troverai in mezzo a due fuochi o se preferisci,
perché la situazione ti sia più chiara, sarai la punta del fatidico triangolo
amoroso!”
“Colpita e affondata!” disse Irene, facendomi
l’occhiolino.
“Filippo è il primo amore
adolescenziale e Paolo è il primo amore maturo: se vi dico che li amo entrambi
ci credete?”
“Devo ammettere che non
invidio la tua posizione! Comunque secondo me tu non sei più innamorata di
Filippo. Sei innamorata del suo ricordo, dei bei momenti che avete condiviso,
ma non di lui com’è oggi se no, se fosse veramente così, a quest’ora non
penseresti a un ragazzo distante da te centinaia di chilometri e che
fisicamente non vedi da mesi; il suo pensiero non ti sfiorerebbe nemmeno
lontanamente! Ovviamente non sono la tua testa, né il tuo cuore e ti assicuro
che niente e nessuno meglio di loro sa come stiano esattamente le cose!”
Ascoltai con attenzione le sue
parole: effettivamente di lì a pochi mesi Paolo sarebbe tornato e dovevo
sbrigarmi a capire su chi stesse puntando il mio cuore, altrimenti mi sarei
cacciata in un grosso guaio e di guai al momento ne avevo già a sufficienza.
Quando tornai a casa, trovai
Benedetta immersa in scatole e scatoloni: c’erano fogli di giornale in ogni
dove e Sveva si divertiva a strapparli.
“Finalmente sei arrivata!”
“Ho mangiato con Marta e Irene
e sono volata a casa…scusami!”
“Non importa, dai! Ora però ho
bisogno del tuo aiuto perché tra un’ora mi devo trovare in via Tertulliano 7
con il proprietario di un bilocale che sembra voler affittare ad un buon
prezzo…incrociamo le dita!”
“Caspita ti sei data subito da
fare e per di più si parla di bilocale!
Hai già numerato gli scatoloni?”
“Già fatto sorellitas!”
“Ok non dico più nulla e mi
metto al lavoro!”
Cominciai a staccare i poster
che avevo appeso nella nuova stanza, ad imballare libri e oggetti, facendo
attenzione a quelli più fragili. Il delirio sarebbe stato svuotare lo
sgabuzzino dove avevamo accantonato tutto ciò che era appartenuto ai nostri
genitori e che c’era rimasto.
Alle cinque mia sorella andò
all’appuntamento, mentre io continuai senza un attimo di tregua a riempire
scatoloni: aprii la porta del ripostiglio. Ebbi un mancamento: non sapevo da
che parte cominciare. “Forza e coraggio!”
Nel farmi largo tra i mille
ricordi rimasti chiusi in quello stanzino buio per tanto tempo, urtai con il
braccio una scatola di legno che cadde a terra, facendo un tonfo pazzesco e si
aprì. Vidi dove cadde e feci un respiro di sollievo, il mio piede era salvo. Mi
sedetti e cominciai a raccogliere quello che era uscito: l’accendino d’argento
di mio padre, le sue pipe, un coltellino svizzero con inciso il suo nome, la
sua targhetta militare, i gemelli che io e Benedetta gli avevamo regalato per
Natale e poi una scatola di latta. Incuriosita l’aprii: sorrisi. C’erano degli
scarabocchi di Sveva, le mie letterine e quelle di Benedetta quando era
piccola. Ne rilessi qualcuna. Ad un certo punto mi bloccai di colpo, deglutii a
fatica: quella non era la mia scrittura, né di Benedetta e neppure di mia
madre. Continuai a leggere. La lettera non era firmata, eppure la scrittura,
decisamente di donna, mi era familiare. Ne trovai un’altra e un’altra ancora.
Mio dio mio padre aveva un’amante e nessuna di noi se n’era mai accorta. Mollai
la presa e quei fogli di carta ingiallita mi scivolarono dalle mani.
Avevo ossessivamente in testa
quelle frasi d’amore anonime: non ci potevo credere, non poteva essere vero.
Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria: decisi di portare Sveva al parco, solo
mezz’oretta, sarei tornata prima di Benedetta così che non avrebbe avuto da
ridire.
Camminavo e pensavo, mi
accorsi che qualche sguardo indiscreto si posava sull’immagine della
sottoscritta che spingeva il passeggino. Sapevo perfettamente cosa stessero
pensando: io irresponsabile, ragazza madre, troppo giovane e colpevole di
quella che sarebbe stata la sua visione distorta della normalità.
Era soprattutto lo sguardo tagliente
di una signora di nero vestita con un basco che le nascondeva parte di un viso
non giovanile, che mi infastidì particolarmente. Decisi quindi di avvicinarmi a
lei:
“E pensare che il padre di
questa creatura innocente non ha voluto riconoscerla perché essendo già padre
di famiglia non se la sentiva di sostenere un tale scandalo e io ora sono
costretta a lavorare di notte, lasciando la mia bambina in un centro per
l’infanzia!”
Vidi sbiancare la signora. “Mi
scusi per lo sfogo, ma quando sono lucida entro completamente nel panico!”
Era allibita, era
impressionata, era esterrefatta,
aprì la bocca per dire qualcosa, ma rimase in silenzio, solo un movimento
impercettibile della testa, poi si allontanò e io scoppiai in una grassa
risata, nervosa.
Il cellulare cominciò a
squillare:
“Pronto?”
“Matilde…l’appartamento è
nostro!!!!!” esclamò Benedetta in tono estasiato.
“Bene!”
“Non troppo entusiasmo! Mi
raccomando! A che punto sei con gli scatoloni?”
“Sono uscita un attimo con
Sveva per prenderle il latte!”
“Matilde l’ho comprato io
stamattina!”
“Allora avrò visto male.
Perfortuna non l’ho ancora preso!”
“Sei sicura che vada tutto
bene? Mi sembri un po’ strana!”
“Sì sì, tranquilla! Ci vediamo
tra poco a casa!”
Non un secondo in cui non
pensassi a chi potesse essere il mittente: io conoscevo quella scrittura,
quelle erre tondeggianti e quelle emme spezzate. Ovviamente non ne feci parola
con Benedetta, visto quanto fosse su di giri per il bilocale trovato e
soprattutto per il proprietario: un certo Giorgio Gherardi, trent’anni appena
compiuti e a detta sua: l’uomo
perfetto. Ingegnere, quindi, dotato di un certo quoziente intellettivo, alto,
moro, occhi scuri e profondi, fisico
atletico, adora la cucina orientale, ha già girato mezzo mondo e:
“E quindi??”
“E quindi, cosa?”
“E’ single, fidanzato o
addirittura sposato?”
“Non saprei proprio! Ho notato
che non aveva la fede al dito, ma oggigiorno sai quante persone non la
portano?!?”
“C’è sempre tempo per
scoprirlo, visto che d’ora in poi saremo sue inquiline!”
“E io che mi aspettavo di
incontrare un uomo vecchio, allampanato e magari pure viscido!”
“Si sa che le cose accadono
quando meno ce lo si aspetta, che siano belle o brutte!” e ripensai alle
lettere.
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