CAPITOLO 12 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Charlie Chaplin disse: "Dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire"

 
Natale fu un tormento: era il primo senza i miei genitori e non avrei visto Paolo, mi disse che la sua licenza era prevista per Aprile. Ci eravamo scritti e sentiti per telefono, ma non lo vedevo da due mesi e avrei dovuto aspettarne altri quattro: ormai mi ero quasi abituata alla sua assenza e spesso mi domandavo quale sarebbe stata la mia reazione una volta che ci fossimo trovati l’uno di fronte all’altra: sarei corsa tra le sue braccia, o avrei aspettato che lui si avvicinasse a me? Il cuore avrebbe cominciato a battere all’impazzata oppure avrebbe conservato il suo battito regolare?
Continuavo a pormi quelle domande con insistenza, facendo viaggi mentali che sfioravano l’assurdo e che mi tenevano sveglia fino alle ore più improbabili. E poi era ricomparso Filippo, il mio primo amore adolescenziale, la mia prima vera cotta. E’ vero che era ricomparso come amico, ma ammetto di essere sempre stata molto scettica nei confronti di un’amicizia tra maschio e femmina soprattutto dopo che i due hanno avuto una storia importante: sono convinta che l’amicizia possa in certi casi trasformarsi in amore, nell’altro senso è difficile che funzioni a lungo.
 
La vigilia di Natale ricevetti un messaggio inaspettato dalla prof Ferrari, in cui mi chiedeva se avessimo avuto piacere di trascorrere il 25 con lei, dato che non sarebbe andata a Roma dalla sorella. Lo proposi a Benedetta, non che la cosa l’allettasse molto, ma dal momento che l’alternativa sarebbe stata o il pranzo con lo zio eterno adolescente, o pranzo con Enrico e la sua famiglia al completo e al riguardo ero stata piuttosto chiara:
“Benedetta, vai pure se credi che la loro compagnia ti possa far trascorrere un buon Natale, io in quella casa non ci metto piede!”
Alla fine accettammo l’invito e io ero contenta perché la Ferrari aveva un-non-so-che che era riuscito a catturare la mia attenzione, e che non saprei descrivere in una sola parola:  era il suo modo di fare talvolta eccessivamente estroso, era la sua stravaganza, era la sua determinazione che spesso sfociava in un’irruente testardaggine.
Munite di Spumante, panettone gastronomico e Pandoro ci dirigemmo a casa Ferrari: le strade erano appisolate e silenziose, coperte da una sottile spolverata di neve.
Una volta giunte a destinazione, trovammo parcheggio poco lontano dal numero 7 di via Tadino: il suo appartamento era al terzo piano della casa grigia ad angolo. Le luci erano accese.
Dalla cucina comparve il compagno della prof Ferrari, un uomo decisamente fascinoso e dopo le varie presentazioni ci dirigemmo in sala da pranzo. Mi trovai di fronte a un’enorme tavola imbandita: soffici torte di pasta sfoglia, morbide frittate, e poi ogni genere e tipo di affettato, intere forme di formaggio, per non parlare del profumo di ragù che proveniva da una teglia fumante di lasagne.
“Matilde, vieni con me di là due secondi?”
Seguii la prof Ferrari, entrammo nel suo studiolo, lungo e stretto, con le pareti coperte da un milione di libri. Mi guardai intorno e rimasi colpita da una foto in bianco e nero riposta senza cornice su una mensola: era un uomo alto e magro, dotato di un affilato naso aquilino e di folte sopracciglia a punta. Indossava la divisa da militare, Aveva un’espressione seria e  ombrosa:
“Chi è l’uomo nella foto in bianco e nero?” domandai indicandola;
“E’ il mio nonno materno: per me è stato una guida, sono praticamente cresciuta in casa sua. Ammetto che lo spirito da generale lo ha sempre avuto anche in famiglia, ma la sua autorevolezza nascondeva un animo gentile.”
Infondo alla stanza un grosso tavolo in legno massiccio fungeva da scrivania:
“L’ordine non è il mio forte!” esclamò, sollevando un malloppo di fogli di carta e spostandoli sul divanetto impero alla mia destra. Poi aprì un cassetto:
“Ecco, questo è per te!” disse porgendomi un sacchetto verde che non lasciava trasparire alcun indizio sulla fonte di provenienza;
Le mostrai un sorriso di gratitudine, lo aprii: all’interno, avvolta in delicata carta velata la collana d’argento, che circa un paio di settimane prima avevamo visto insieme in un negozio vicino a scuola.
“Ma…sono senza parole!!!Lei non doveva assolutamente!!!”
“L’ho presa solo perché ero certa che ti piacesse!” mi fece l’occhiolino. La indossai immediatamente: “Come sta?”
“E’ perfetta!”
Appoggiai il sacchetto sulla scrivania e l’abbracciai fortissimo:
“Grazie e non solo per la collana, ma per tutto quello che sta facendo: mi sa che sto cominciando ad affezionarmi a lei sul serio!”
“Io non sto facendo nulla di speciale…però mi fa un grande piacere vederti sorridere!”

Trascorsi una giornata veramente piacevole: era quella casa, erano quelle persone che, benché conoscessi da non molto tempo, erano state in grado di trasmettermi tanto calore umano di cui sentivo di aver bisogno, era l’inaspettata rivelazione di una persona per la quale non avevo perso tempo nel classificarla come nemica: una donna moderna e pragmatica, con alle spalle un passato faticoso, in grado di capire il mio stato d’animo. Forse che tutti i mali non vengono per nuocere?


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