Foto di Cristina Barbieri |
Charlie Chaplin disse: "Dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire"
Natale fu un tormento: era il primo senza
i miei genitori e non avrei visto Paolo, mi disse che la sua licenza era
prevista per Aprile. Ci eravamo scritti e sentiti per telefono, ma non lo
vedevo da due mesi e avrei dovuto aspettarne altri quattro: ormai mi ero quasi
abituata alla sua assenza e spesso mi domandavo quale sarebbe stata la mia
reazione una volta che ci fossimo trovati l’uno di fronte all’altra: sarei
corsa tra le sue braccia, o avrei aspettato che lui si avvicinasse a me? Il
cuore avrebbe cominciato a battere all’impazzata oppure avrebbe conservato il
suo battito regolare?
Continuavo a pormi quelle domande con
insistenza, facendo viaggi mentali che sfioravano l’assurdo e che mi tenevano
sveglia fino alle ore più improbabili. E poi era ricomparso Filippo, il mio
primo amore adolescenziale, la mia prima vera cotta. E’ vero che era ricomparso
come amico, ma ammetto di essere sempre stata molto scettica nei confronti di
un’amicizia tra maschio e femmina soprattutto dopo che i due hanno avuto una
storia importante: sono convinta che l’amicizia possa in certi casi
trasformarsi in amore, nell’altro senso è difficile che funzioni a lungo.
La vigilia di Natale ricevetti un
messaggio inaspettato dalla prof Ferrari, in cui mi chiedeva se avessimo avuto
piacere di trascorrere il 25 con lei, dato che non sarebbe andata a Roma dalla
sorella. Lo proposi a Benedetta, non che la cosa l’allettasse molto, ma dal
momento che l’alternativa sarebbe stata o il pranzo con lo zio eterno
adolescente, o pranzo con Enrico e la sua famiglia al completo e al riguardo
ero stata piuttosto chiara:
“Benedetta, vai pure se credi che la loro
compagnia ti possa far trascorrere un buon Natale, io in quella casa non ci
metto piede!”
Alla fine accettammo l’invito e io ero
contenta perché la Ferrari aveva un-non-so-che che era riuscito a catturare la
mia attenzione, e che non saprei descrivere in una sola parola: era il suo modo di fare talvolta
eccessivamente estroso, era la sua stravaganza, era la sua determinazione che
spesso sfociava in un’irruente testardaggine.
Munite di Spumante, panettone
gastronomico e Pandoro ci dirigemmo a casa Ferrari: le strade erano appisolate
e silenziose, coperte da una sottile spolverata di neve.
Una volta giunte a destinazione, trovammo
parcheggio poco lontano dal numero 7 di via Tadino: il suo appartamento era al
terzo piano della casa grigia ad angolo. Le luci erano accese.
Dalla cucina comparve il compagno della
prof Ferrari, un uomo decisamente fascinoso e dopo le varie presentazioni ci
dirigemmo in sala da pranzo. Mi trovai di fronte a un’enorme tavola imbandita:
soffici torte di pasta sfoglia, morbide frittate, e poi ogni genere e tipo di
affettato, intere forme di formaggio, per non parlare del profumo di ragù che
proveniva da una teglia fumante di lasagne.
“Matilde, vieni con me di là due
secondi?”
Seguii la prof Ferrari, entrammo nel suo
studiolo, lungo e stretto, con le pareti coperte da un milione di libri. Mi
guardai intorno e rimasi colpita da una foto in bianco e nero riposta senza
cornice su una mensola: era un uomo alto e magro, dotato di un affilato naso
aquilino e di folte sopracciglia a punta. Indossava la divisa da militare,
Aveva un’espressione seria e
ombrosa:
“Chi è l’uomo nella foto in bianco e
nero?” domandai indicandola;
“E’ il mio nonno materno: per me è stato
una guida, sono praticamente cresciuta in casa sua. Ammetto che lo spirito da
generale lo ha sempre avuto anche in famiglia, ma la sua autorevolezza
nascondeva un animo gentile.”
Infondo alla stanza un grosso tavolo in
legno massiccio fungeva da scrivania:
“L’ordine non è il mio forte!” esclamò,
sollevando un malloppo di fogli di carta e spostandoli sul divanetto impero
alla mia destra. Poi aprì un cassetto:
“Ecco, questo è per te!” disse porgendomi
un sacchetto verde che non lasciava trasparire alcun indizio sulla fonte di
provenienza;
Le mostrai un sorriso di gratitudine, lo
aprii: all’interno, avvolta in delicata carta velata la collana d’argento, che
circa un paio di settimane prima avevamo visto insieme in un negozio vicino a
scuola.
“Ma…sono senza parole!!!Lei non doveva
assolutamente!!!”
“L’ho presa solo perché ero certa che ti
piacesse!” mi fece l’occhiolino. La indossai immediatamente: “Come sta?”
“E’ perfetta!”
Appoggiai il sacchetto sulla scrivania e
l’abbracciai fortissimo:
“Grazie e non solo per la collana, ma per
tutto quello che sta facendo: mi sa che sto cominciando ad affezionarmi a lei
sul serio!”
“Io non sto facendo nulla di
speciale…però mi fa un grande piacere vederti sorridere!”
Trascorsi una giornata
veramente piacevole: era quella casa, erano quelle persone che, benché
conoscessi da non molto tempo, erano state in grado di trasmettermi tanto
calore umano di cui sentivo di aver bisogno, era l’inaspettata rivelazione di
una persona per la quale non avevo perso tempo nel classificarla come nemica:
una donna moderna e pragmatica, con alle spalle un passato faticoso, in grado
di capire il mio stato d’animo. Forse che tutti i mali non vengono per nuocere?
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