Foto di Cristina Barbieri |
Aristotele disse: "Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, nel grado giusto, al momento giusto, per lo scopo giusto e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque, questo non è facile."
“Prof!”
“Ciao Matilde!”
“Le va un caffè alle
macchinette? Non facendo religione ho l’ora buca!”
“Ascolta io devo correggere un
pacco di compiti: facciamo che te lo offro io e in cambio mi dai una mano! Che
ne dici?”
“Posso dire di no?” domandai
sorridendo.
“Ovviamente no!” esclamò
facendomi l’occhiolino.
La seguii in aula professori:
stranamente era vuota, a parte il Dionigi e il Cassano che discutevano
animatamente di fisica atomistica, e per me era come se parlassero in cinese, e
il vicepreside coperto da un malloppo di fogli protocollo:
“Buongiorno signorina
Casale!”
“Buongiorno!”
“Ho saputo che quest’anno
niente gita! Non sarà per caso colpa della vostra condotta?”
“Ma va che scherza?! Noi
classe di angioletti!”
Si lasciò sfuggire una
risatina pungente poi la sua testa tornò china sui fogli protocollo. I suoi
occhiali spessi e la sua capigliatura un po’ arruffata gli davano un’immagine
divertente. Lui ne era consapevole e gli andava bene così.
La Ferrari prese tutto il
materiale di cui avremmo avuto bisogno e lo appoggiò sul tavolo:
“Tu prendi le verifiche di
storia, mentre io prendo libri e penne e ci spostiamo in biblioteca!”
Feci quello che mi disse,
afferrai la pila di fogli e mi diressi verso l’uscita quando il mio sguardo
cadde sulla prima pagina su cui la prof aveva riportato a mano le risposte
corrette. Improvvisamente mi caddero tutti i compiti a terra e rimasi lì, con i
piedi inchiodati al pavimento e gli occhi spalancati, incredula di quello che
avevo appena scoperto.
“Matilde, ti ho chiesto di
darmi una mano, non di complicarmi le cose!”
“Ah io le complico le cose?!?!
Lei invece si limita a rovinare i matrimoni!” Vidi il suo volto sbiancare.
“E’ inutile che mi guarda
così! So benissimo chi è lei e mi creda mi fa solo schifo! Si è presa gioco di
me e della mia famiglia per tutto questo tempo, se ne rende conto!?”
Mi voltai e me ne andai:
“Aspetta Matilde!” mi pregò lei.
“Aspetto cosa? Dica la solita
frase di circostanza: “non è come pensi” magari poi si sente meglio!”
Non fiatò. La fissai per
qualche secondo: “Si pentirà di tutto questo!”
C’era veramente
dell’incredibile nella storia che stavo vivendo: la prof Ferrari amante di mio
padre, uomo d’onore, tutto di un pezzo e nessuno se n’era mai accorto. Mi mancò
il fiato. Mi dovetti appoggiare al muro perché le gambe non mi reggevano e
scivolai lentamente fino a toccare il pavimento.
Era arrivato il momento che
anche Benedetta sapesse quello di cui ero venuta a conoscenza: non persi tempo
e andai da lei. Aspettai mezzora nella sala d’attesa dello studio di architetti
per cui mia sorella lavorava: una stanza bianca con pavimento a scacchiera
bianco e nero, coperto da una sottile lastra di vetro e tre divani rossi che
spezzavano un ambiente, altrimenti
troppo freddo. Poi finalmente comparve davanti a me:
“Che ci fai qui?” domandò
stupita.
“Bello lo studio: molto
minimal!” esclamai guardandomi intorno.
“Ancora non hai risposto alla
mia domanda: non dovresti essere a scuola?”
“Sì, dovrei! Ma dobbiamo
parlare!” Il mio sguardo si fece serio.
“Devo preoccuparmi?”
“Sei in pausa?”
“Sì, ho un’ora libera poi devo
tornare! Andiamo al baretto che c’è qui all’angolo e mangiamo qualcosa!”
Afferrò il cappotto dall’attaccapanni e si mise la borsa a tracolla.
Mi feci largo tra un turbinio
di gente che entrava e usciva:
“Tranquillo come posto!”
esclamai ironicamente.
Benedetta fece un giro di
perlustrazione: “Ciao Benny, se mi dai un minuto vi trovo un tavolo! Siete solo
in due?”
“Grazie Fede, confidiamo in
te! Ma oggi che succede? Il locale è più affollato del solito! Comunque lei è
Matilde, la mia sorellina!”
Si scostò per permettermi di
allungargli la mano:
“Piacere!”
Lui me la strinse: “Finalmente
ti conosco! Benedetta mi parla sempre di te! Ah guarda si è liberato il tavolo
dietro di voi: impossessatevene prima che sia troppo tardi!”
Mi voltai e lo occupai
immediatamente.
“Arrivo subito con le liste!”
ci rassicurò. Pochi secondi e il delirio lo risucchiò, facendomelo perdere di
vista.
“Allora, che cosa devi dirmi
di così urgente?”
La guardai fissa negli occhi,
con espressione severa, ma allo stesso tempo sconcertata:
“Quello che sentirai non ti
farà molto piacere, perciò voglio dirtelo tutto di un fiato: - feci un respiro
profondo, contai fino a tre e poi parlai: la Ferrari era l’amante di nostro
padre!”
Vidi il suo sguardo diventare
di ghiaccio e il suo volto sbiancare.
“Un paio di giorni fa nello
svuotare il ripostiglio ho urtato una scatola che cadendo si è aperta. Tra le
mille cose che conteneva, mischiate alle nostre lettere per papà, ho trovato
una serie di lettere d’amore anonime: ero certa che quella scrittura non mi
fosse nuova, anche se però, al momento, non riuscii ad immaginare di chi fosse. Oggi a scuola ho avuto la
conferma che quella scrittura appartiene alla Ferrari… Mi è crollato il mondo
addosso!”
Si portò le mani al viso.
“Giurami che non ne sapevi
nulla?!?”
Lei non proferì parola.
“Benedetta, tu lo sapevi?!?!”
I miei occhi si riempirono di lacrime: “Tu lo sapevi!!!!” il tono della mia
voce si fece più alto. Mi sentivo addosso gli occhi indiscreti di tutto il locale,
eccetto i suoi, che non avevano il coraggio di guardarmi. Mi alzai.
“Vaffanculo, Benedetta!”
Uscii di corsa.
Avevo perfettamente in mente
la meta che di lì a poco avrei raggiunto: volevo avere spiegazioni dalla
diretta interessata, volevo stare a sentire le sue insulse giustificazioni,
volevo che si sentisse profondamente in colpa, profondamente a disagio. Era
quello che si meritava. In meno di mezzora mi trovai davanti al numero 7 di Via
Tadino. Schiacciai con forza il pulsante del citofono:
“Sì?”
“Sono Matilde!”
Ci fu silenzio.
“Sono a casa da sola, vuoi
salire o preferisci che scenda?”
“Salgo!”
Mi aprì. Ero furiosa, ero
completamente fuori di me: eccola là, sulla soglia della porta. Mi fissava con
uno sguardo che sapeva essere nel torto, ma allo stesso tempo non voleva cedere
alla sfida.
E io avrei voluto dirle di
tutto, ma non dissi nulla: inizialmente mi limitai a sostenere il suo sguardo.
Poi mi mossi verso di lei.
“Perché?” domandai
semplicemente.
“Vorrei darti una risposta
sensata, ma non credo esista perchè in ogni caso non sarebbe sensata per te!”
“Ti odio!” esclamai con
rabbia: “Di te mi fidavo!”
Vidi i suoi occhi farsi
lucidi.
“Quando è successo? Perché mia sorella lo sapeva e io sono stata tenuta
all’oscuro di tutto?”
Si passò una mano sulla
guancia bagnata da una lacrima sfuggita al suo controllo:
“Vieni dentro!”
La seguii: andammo nel suo
studiolo e lì ci sedemmo.
“A Ottobre della prima liceo,
mia madre se ne andò di casa e non ci rimise piede per quasi un anno. Nessun
messaggio, nessuna telefonata, nessuna spiegazione. Niente di niente. Solo un
biglietto con scritto: “Mi dispiace, vi voglio bene, mamma.” Era scomparsa da
un giorno all’altro. Nemmeno mio padre sapeva dov’era andata. Il cellulare era
sempre staccato. Per tutti quei mesi non mi misi mai l’anima in pace. A questo
punto, immagino che a Benedetta sia stato detto il motivo di questa fuga
improvvisa e ora capisco perché quando c’era mio padre, lei usciva di casa…
quindi la causa di tutto il male che ho provato per tutti quei mesi sei tu?!?
Mio dio, non ci posso credere e io che a un certo punto ho odiato mia madre,
convinta che fosse stata colpa sua, di un suo tradimento. Quando poi,
magicamente ricomparve a casa non ci diede alcuna spiegazione della sua
assenza. Ci disse solo che le eravamo mancate e che avrebbe dovuto parlare con
papà.”
“Matilde, non credi che forse
te la stai prendendo con la persona sbagliata?”
Inarcai il sopracciglio: “Cosa
vuoi dire?”
“Non sono io che ho tradito
tua madre: la mia unica colpa è stata quella di innamorarmi della persona
sbagliata!”
Quelle parole mi pietrificarono. Mio padre. Era lui la causa di
tutto e non riuscivo a farmene una ragione: era lui che mi aveva mentito, era
lui che mi aveva volutamente tenuto nascosto tutta la vicenda, portandomi a
dubitare della sincerità di mia madre. Era lui che aveva rovinato la nostra
famiglia. Era lui che in quel momento odiavo e me stessa per essermela presa
ancora una volta con mia sorella.
“Ma tu sapevi che aveva una
famiglia!” esclamai con voce sottile.
“Credimi sono mortificata:
l’ultima cosa che avrei voluto in questo momento era causarti ulteriore
sofferenza. A settembre non collegai immediatamente che tu fossi la figlia di
Fabio Casale, pensavo che lo stesso cognome fosse solo una coincidenza. Quando
poi ho saputo che i tuoi genitori erano morti in un incidente stradale, ho
capito che non si trattava di una pura coincidenza. Non sentivo e vedevo tuo
padre da ormai più di un anno, ma non nego che per lui ho sofferto veramente
tanto, anche se questa non è una confidenza che posso permettermi di fare ad
una giovane allieva. E poi sei entrata tu nella mia vita: un’alunna testarda,
dai modi di fare duri che nascondono e proteggono un cuore grande e tenero.¨
Restai in silenzio a
guardarla:
"Come si fa a dire a
qualcuno che non c'è più di andare al diavolo? E suppongo che ora sia troppo
tardi per smettere di volerti bene!" dissi, scoppiando in un pianto
disperato. Si alzò e si sedette
accanto a me, dai suoi occhi scesero lacrime di commozione.
Il mio sguardo si posò
sull`orologio a pendolo.
"Si è fatto tardi, devo
andare!"
"Sei sicura di stare
bene? Non vuoi fermarti qui ancora un pochino?"
"Sto bene, ci vediamo
domani a scuola!"
Volevo chiamare Benedetta:
frugai nella borsa e afferrai il cellulare. Dieci chiamate senza risposta.
Tutte Benedetta. E un suo messaggio:
"Ti prego chiamami quando puoi! Perdonami!"
Digitai il suo numero di
cellulare.
"Ciao Matilde!"
"Ciao Benedetta!"
Poi silenzio. Respirai
profondamente.
"Non ho voglia di andare
a casa, ti va una cena triste da Mc Donald?" mi lasciai sfuggire un
sorriso e lei lo percepì.
"Guarda che una pizza
possiamo ancora permettercela! Dai, vai a prendere Sveva e raggiungetemi! Vi
aspetto!"
"Ti voglio bene!"
dissi prima di chiudere la chiamata.
Nessun commento:
Posta un commento