CAPITOLO 16 - Lontano da chi?

Foto di Cristina Barbieri
Aristotele disse: "Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, nel grado giusto, al momento giusto, per lo scopo giusto e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque, questo non è facile."
 
“Prof!”
“Ciao Matilde!” 
“Le va un caffè alle macchinette? Non facendo religione ho l’ora buca!”
“Ascolta io devo correggere un pacco di compiti: facciamo che te lo offro io e in cambio mi dai una mano! Che ne dici?” 
“Posso dire di no?” domandai sorridendo.
“Ovviamente no!” esclamò facendomi l’occhiolino. 
La seguii in aula professori: stranamente era vuota, a parte il Dionigi e il Cassano che discutevano animatamente di fisica atomistica, e per me era come se parlassero in cinese, e il vicepreside coperto da un malloppo di fogli protocollo:
“Buongiorno signorina Casale!” 
“Buongiorno!”
“Ho saputo che quest’anno niente gita! Non sarà per caso colpa della vostra condotta?” 
“Ma va che scherza?! Noi classe di angioletti!”
Si lasciò sfuggire una risatina pungente poi la sua testa tornò china sui fogli protocollo. I suoi occhiali spessi e la sua capigliatura un po’ arruffata gli davano un’immagine divertente. Lui ne era consapevole e gli andava bene così. 
La Ferrari prese tutto il materiale di cui avremmo avuto bisogno e lo appoggiò sul tavolo:
“Tu prendi le verifiche di storia, mentre io prendo libri e penne e ci spostiamo in biblioteca!” 
Feci quello che mi disse, afferrai la pila di fogli e mi diressi verso l’uscita quando il mio sguardo cadde sulla prima pagina su cui la prof aveva riportato a mano le risposte corrette. Improvvisamente mi caddero tutti i compiti a terra e rimasi lì, con i piedi inchiodati al pavimento e gli occhi spalancati, incredula di quello che avevo appena scoperto.
“Matilde, ti ho chiesto di darmi una mano, non di complicarmi le cose!” 
“Ah io le complico le cose?!?! Lei invece si limita a rovinare i matrimoni!” Vidi il suo volto sbiancare.
“E’ inutile che mi guarda così! So benissimo chi è lei e mi creda mi fa solo schifo! Si è presa gioco di me e della mia famiglia per tutto questo tempo, se ne rende conto!?” 
Mi voltai e me ne andai: “Aspetta Matilde!” mi pregò lei.
“Aspetto cosa? Dica la solita frase di circostanza: “non è come pensi” magari poi si sente meglio!” Non fiatò. La fissai per qualche secondo: “Si pentirà di tutto questo!”
C’era veramente dell’incredibile nella storia che stavo vivendo: la prof Ferrari amante di mio padre, uomo d’onore, tutto di un pezzo e nessuno se n’era mai accorto. Mi mancò il fiato. Mi dovetti appoggiare al muro perché le gambe non mi reggevano e scivolai lentamente fino a toccare il pavimento.

Era arrivato il momento che anche Benedetta sapesse quello di cui ero venuta a conoscenza: non persi tempo e andai da lei. Aspettai mezzora nella sala d’attesa dello studio di architetti per cui mia sorella lavorava: una stanza bianca con pavimento a scacchiera bianco e nero, coperto da una sottile lastra di vetro e tre divani rossi che spezzavano  un ambiente, altrimenti troppo freddo. Poi finalmente comparve davanti a me: “Che ci fai qui?” domandò stupita. 
“Bello lo studio: molto minimal!” esclamai guardandomi intorno.
“Ancora non hai risposto alla mia domanda: non dovresti essere a scuola?” 
“Sì, dovrei! Ma dobbiamo parlare!” Il mio sguardo si fece serio.
“Devo preoccuparmi?” 
“Sei in pausa?”
“Sì, ho un’ora libera poi devo tornare! Andiamo al baretto che c’è qui all’angolo e mangiamo qualcosa!” Afferrò il cappotto dall’attaccapanni e si mise la borsa a tracolla.

Mi feci largo tra un turbinio di gente che entrava e usciva: 
“Tranquillo come posto!” esclamai ironicamente.
Benedetta fece un giro di perlustrazione: “Ciao Benny, se mi dai un minuto vi trovo un tavolo! Siete solo in due?” 
“Grazie Fede, confidiamo in te! Ma oggi che succede? Il locale è più affollato del solito! Comunque lei è Matilde, la mia sorellina!”
Si scostò per permettermi di allungargli la mano: “Piacere!”  
Lui me la strinse: “Finalmente ti conosco! Benedetta mi parla sempre di te! Ah guarda si è liberato il tavolo dietro di voi: impossessatevene prima che sia troppo tardi!”
Mi voltai e lo occupai immediatamente. 
“Arrivo subito con le liste!” ci rassicurò. Pochi secondi e il delirio lo risucchiò, facendomelo perdere di vista.
“Allora, che cosa devi dirmi di così urgente?” 
La guardai fissa negli occhi, con espressione severa, ma allo stesso tempo sconcertata:
“Quello che sentirai non ti farà molto piacere, perciò voglio dirtelo tutto di un fiato: - feci un respiro profondo, contai fino a tre e poi parlai: la Ferrari era l’amante di nostro padre!” 
Vidi il suo sguardo diventare di ghiaccio e il suo volto sbiancare.
“Un paio di giorni fa nello svuotare il ripostiglio ho urtato una scatola che cadendo si è aperta. Tra le mille cose che conteneva, mischiate alle nostre lettere per papà, ho trovato una serie di lettere d’amore anonime: ero certa che quella scrittura non mi fosse nuova, anche se però, al momento, non riuscii ad immaginare di chi fosse. Oggi a scuola ho avuto la conferma che quella scrittura appartiene alla Ferrari… Mi è crollato il mondo addosso!”
Si portò le mani al viso. 
“Giurami che non ne sapevi nulla?!?”
Lei non proferì parola.
“Benedetta, tu lo sapevi?!?!” I miei occhi si riempirono di lacrime: “Tu lo sapevi!!!!” il tono della mia voce si fece più alto. Mi sentivo addosso gli occhi indiscreti di tutto il locale, eccetto i suoi, che non avevano il coraggio di guardarmi. Mi alzai.
“Vaffanculo, Benedetta!”  
Uscii di corsa.
Avevo perfettamente in mente la meta che di lì a poco avrei raggiunto: volevo avere spiegazioni dalla diretta interessata, volevo stare a sentire le sue insulse giustificazioni, volevo che si sentisse profondamente in colpa, profondamente a disagio. Era quello che si meritava. In meno di mezzora mi trovai davanti al numero 7 di Via Tadino. Schiacciai con forza il pulsante del citofono: “Sì?”   
“Sono Matilde!”
Ci fu silenzio.   
“Sono a casa da sola, vuoi salire o preferisci che scenda?”
“Salgo!” 
Mi aprì. Ero furiosa, ero completamente fuori di me: eccola là, sulla soglia della porta. Mi fissava con uno sguardo che sapeva essere nel torto, ma allo stesso tempo non voleva cedere alla sfida.
E io avrei voluto dirle di tutto, ma non dissi nulla: inizialmente mi limitai a sostenere il suo sguardo. Poi mi mossi verso di lei.
“Perché?” domandai semplicemente.
“Vorrei darti una risposta sensata, ma non credo esista perchè in ogni caso non sarebbe sensata per te!” 
“Ti odio!” esclamai con rabbia: “Di te mi fidavo!”
Vidi i suoi occhi farsi lucidi. 
“Quando è successo? Perché mia sorella lo sapeva e io sono stata tenuta all’oscuro di tutto?”
Si passò una mano sulla guancia bagnata da una lacrima sfuggita al suo controllo: “Vieni dentro!” 
La seguii: andammo nel suo studiolo e lì ci sedemmo.
“A Ottobre della prima liceo, mia madre se ne andò di casa e non ci rimise piede per quasi un anno. Nessun messaggio, nessuna telefonata, nessuna spiegazione. Niente di niente. Solo un biglietto con scritto: “Mi dispiace, vi voglio bene, mamma.” Era scomparsa da un giorno all’altro. Nemmeno mio padre sapeva dov’era andata. Il cellulare era sempre staccato. Per tutti quei mesi non mi misi mai l’anima in pace. A questo punto, immagino che a Benedetta sia stato detto il motivo di questa fuga improvvisa e ora capisco perché quando c’era mio padre, lei usciva di casa… quindi la causa di tutto il male che ho provato per tutti quei mesi sei tu?!? Mio dio, non ci posso credere e io che a un certo punto ho odiato mia madre, convinta che fosse stata colpa sua, di un suo tradimento. Quando poi, magicamente ricomparve a casa non ci diede alcuna spiegazione della sua assenza. Ci disse solo che le eravamo mancate e che avrebbe dovuto parlare con papà.” 
“Matilde, non credi che forse te la stai prendendo con la persona sbagliata?”
Inarcai il sopracciglio: “Cosa vuoi dire?” 
“Non sono io che ho tradito tua madre: la mia unica colpa è stata quella di innamorarmi della persona sbagliata!” 
Quelle parole mi pietrificarono. Mio padre. Era lui la causa di tutto e non riuscivo a farmene una ragione: era lui che mi aveva mentito, era lui che mi aveva volutamente tenuto nascosto tutta la vicenda, portandomi a dubitare della sincerità di mia madre. Era lui che aveva rovinato la nostra famiglia. Era lui che in quel momento odiavo e me stessa per essermela presa ancora una volta con mia sorella.
“Ma tu sapevi che aveva una famiglia!” esclamai con voce sottile. 
“Credimi sono mortificata: l’ultima cosa che avrei voluto in questo momento era causarti ulteriore sofferenza. A settembre non collegai immediatamente che tu fossi la figlia di Fabio Casale, pensavo che lo stesso cognome fosse solo una coincidenza. Quando poi ho saputo che i tuoi genitori erano morti in un incidente stradale, ho capito che non si trattava di una pura coincidenza. Non sentivo e vedevo tuo padre da ormai più di un anno, ma non nego che per lui ho sofferto veramente tanto, anche se questa non è una confidenza che posso permettermi di fare ad una giovane allieva. E poi sei entrata tu nella mia vita: un’alunna testarda, dai modi di fare duri che nascondono e proteggono un cuore grande e tenero.¨
Restai in silenzio a guardarla: "Come si fa a dire a qualcuno che non c'è più di andare al diavolo? E suppongo che ora sia troppo tardi per smettere di volerti bene!" dissi, scoppiando in un pianto disperato. Si alzò e si sedette accanto a me, dai suoi occhi scesero lacrime di commozione.  
Il mio sguardo si posò sull`orologio a pendolo.
"Si è fatto tardi, devo andare!" 
"Sei sicura di stare bene? Non vuoi fermarti qui ancora un pochino?"
"Sto bene, ci vediamo domani a scuola!"

Volevo chiamare Benedetta: frugai nella borsa e afferrai il cellulare. Dieci chiamate senza risposta. Tutte Benedetta. E un suo messaggio: "Ti prego  chiamami quando puoi! Perdonami!" 
Digitai il suo numero di cellulare.
"Ciao Matilde!" 
"Ciao Benedetta!"
Poi silenzio. Respirai profondamente. 
"Non ho voglia di andare a casa, ti va una cena triste da Mc Donald?" mi lasciai sfuggire un sorriso e lei lo percepì.
"Guarda che una pizza possiamo ancora permettercela! Dai, vai a prendere Sveva e raggiungetemi! Vi aspetto!" 
"Ti voglio bene!" dissi prima di chiudere la chiamata.

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